Titolo: "The Chain"
Autore: Adrian McKinty
Editore: Longanesi
Cosa è disposta a fare una
madre pur di salvare il proprio figlio?
Tutto.
Una madre farebbe di tutto,
anche andare contro i propri princìpi e valori morali, o almeno è
quello che accade a Rachel, la protagonista di questo thriller,
quando la sua vita viene stravolta dalla chiamata di un utente
sconosciuto che le comunica con voce alterata, gelida e arrogante che
la sua unica figlia Kylie è stata rapita. Una telefonata che nessuno
genitore vorrebbe ricevere. Un'esperienza che devasta l'anima, un
dolore immenso e ingestibile che sale dalle viscere sconvolgendo ogni
cellula del poprio corpo. L'istinto materno si attiva, il dolore si
tramuta in rabbia e in quella forza che porta a fare qualsiasi cosa
pur di riabbriacciare la propria figlia, e Rachel è disposta a
tutto, così, ascolta scrupolosamente le regole che le vengono
impartite per riavere sua figlia sana e salva a casa. Le regole
dovranno essere seguite in maniera precisa e perfetta, ogni minimo
sbaglio comporterebbe una punzione esemplare e...mortale.
Chi ha rapito Kylie?
La Catena. Un meccanismo che
vive e si alimenta della disperazione delle persone, sfruttando
l'amore che provano per i propri familiari portandoli a fare ciò che
vogliono in cambio di denaro, tenendoli legati a sé per sempre.
Cosa dovrà fare Rachel per
salvare sua figlia?
Rapire a sua volta un altro
bambino e tenerlo in ostaggio, fino a quando i genitori non
pagheranno il riscatto e così via in un circolo vizioso senza fine,
o quasi. Beh ogni meccanismo ha il suo punto debole e scoprirlo vuol
dire spezzare la catena ponendo fine a rampimenti insensati, ma non
sarò io a svelarlo, a questo ci penserà Rachel o voi lettori se
deciderete di continuare la lettura del libro. Lettura che
personalmente non mi sento di consigliarvi per una serie di motivi,
che piano piano cercherò di spiegarvi in questa recensione.
Le prime venti pagine, ad
essere sinceri, sono coinvolgenti, piene di pathos e creano quel
senso di ansia che incolla letteralmente alle pagine del libro. Le
frasi sono brevi e ad effetto, inserite all'interno di capitoli
altrettanto brevi che tengono con il fiato sospeso, ma superate le
venti pagine tutto si sgonfia come un palloncino bucato e la storia
si perde in situazioni poco credibili.
Un libro indicato come
thriller dell'anno si rivela, invece, come un testo infarcito di
luoghi comuni, stereotipi, situazioni assurde che non aderiscono alla
realtà, atteggiamenti contrastanti dei personaggi, temi accennati e
mai affrontati in maniera seria e approfondita, costruzione
psicologica dei personaggi inesistente etc., ma andiamo con ordine e
analizziamo le cose.
Adrian McKinty ha adottato
uno stile narrativo minimalista, forse troppo, utilizzando frasi
brevi che però non tengono il ritmo fino alla fine della storia. Lo
stile breve e stringato non permette di analizzare nulla, solo di
sorvolare superficialmente su avvenimenti e tematiche limitandosi ad
elencarli e adattandoli allo stile narrativo serrato, ma non tutto
può essere narrato e affrontato in questo modo. Per alcuni argomenti
ci vuole più attenzione, e analizzarli in maniera approfondita
avrebbe significato dare un'impronta diversa, dinamica e incisiva
alla storia, sviluppandola in maniera più accattivante e
interessante, dando spunti di riflessione seri e importanti, come ad
esempio l'utilizzo e l'influenza dei social media nella vita
quotidiana delle persone. Un tema attuale a cui tutti i lettori
avrebbero potuto rispecchiarsi, aiutandoli a vedere con occhio
diverso la nuova realtà virtuale. Putroppo l'autore non
approfondisce nulla, lasciandosi scappare delle buone opportunità
per inseguire altre tematiche interessanti e dimenticarsene dopo due
secondi, inseguendone altre in una corsa inutile e superficiale.
Il testo è intriso di
luoghi comuni e stereotipi che non ho gradito. Non capisco perchè si
debba costruire una storia o i personaggi basandosi su stereotipi che
non aggiungono nulla, al contrario rendono il libro approssimativo e
banale, e in questo testo gli stereotipi si succedono a ogni pagina:
il marines che deve essere per forza rappresentato come una persona
traumatizzata, altrimenti come soldato non vale nulla; le donne o
sono superficiali e dedite alla cura di se stesse oppure fredde,
distaccate e un po' anaffettive. I bambini sono senza cervello che
non hanno problemi a stare con estranei e il rapimento è vissuto
come una vacanza a Disneyland. Le famiglie se sono ricche,
automaticamente sono anche superficiali, leggere e poco attente ai
figli, mentre se sono ad un livello sociale più basso allora possono
avere comportamenti devianti.
Utilizzare stereotipi è
sinonimo di chiusura mentale e non si può pensare di costruire un
personaggio sulla base di questi presupposti, perché ne limita la
costruzione psicologica e non risultano veri e rispondenti alla
realtà. In questo thriller, infatti, manca completamente la parte
psicologica di tutti i personaggi ed è un grave mancanza che incide
sulla storia, perché non aiuta a comprendere i loro pensieri,
l'elaborazione del dolore, le azioni e gli stati d'animo che stanno
vivendo. È importante per il lettore, e per questo genere di libro,
capire i meccanismi mentali che si attivano nei personaggi per avere
un quadro completo ed esaustivo della storia, invece, ci ritroviamo
persone inattendibili con pensieri contrastanti, come ad esempio la
protagonista che risulta fredda, distaccata, antipatica, senza
sentimenti e inverosimile nel suo ruolo di madre e donna.
Le situazioni descritte nel
testo sono surreali e improbabili, ad esempio come si fa a rapire un
bambino su una sedia a rotelle e nessuno vede nulla? Come si fa a
non avere reazioni emotive tenendo tra le braccia una bambina che sta
per morire? Come si fa a dormire beatamente con il cellulare scarico,
sapendo che tua figlia è stata rapita e che l'unico mezzo di
comunicazione con i rapitori è proprio il cellulare? Questi sono
solo alcuni esempi di situazioni inverosimili e non aderenti alla
reltà, che diventano sempre più surreali man mano che si procede
nella lettura. Se nella prima parte del libro tutto avviene in
maniera veloce, nella seconda parte gli avvenimenti rallentano e si
cade nel ridicolo con un evolversi della storia che non ha senso. Il
registro narrativo cambia completamente, sembra di leggere due storie
completamente diverse. Due storie slegate con grossolani errori di
traduzione, che sviano sul reale significato di alcune frasi e
parole, compromettendo la lettura.
Peccato perché la storia
era originale, ma l'autore non ha saputo sviluppare al meglio la
trama, probabilmente avrebbe dovuto lasciare il testo come racconto, perché
considerata la brevità non avrebbe avuto problemi nel costruire una
storia più reale e concreta. Scegliendo il il romanzo, invece, ha dato l'idea di
non sapere come muoversi, inserendo elementi e avvenimenti senza
alcuna logica narrativa.
Un'occasione sprecata.
Ve lo consiglio? No, ma come
sempre a voi la scelta.
Buona lettura!
(Marianna Di Bella)
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