venerdì 23 novembre 2018

Recensione: "Le stanze dell'addio" - Yari Selvetella

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Titolo: Le stanze dell'addio
Autore: Yari Selvetella
Editore: Bompiani




Perdere qualcuno che si ama è una delle esperienze più dolorose e devastanti che possano capitare. Il dolore entra prepotentemente dentro di noi e come una deflagrazione esplode lasciandoci senza fiato. Inebetiti. Sconvolti.
Si accomoda nella nostra anima e rimane lì per mesi...anni...un coinquilino complicato, scomodo, difficile da mandare via.
Piangiamo, quando ci riusciamo, ci disperiamo e ripercorriamo, all'infinito, i momenti felici. Riviviamo il passato illudendoci di ritrovare quella sensazione di benessere e amore che abbiamo vissuto, alleviando momentaneamente la nostra sofferenza.
Elaborare il lutto non è facile, il dolore ha bisogno di tempo per scivolare via e lasciare spazio alla speranza e alla voglia di tornare a vivere. È un processo lungo che ognuno di noi affronta in maniera diversa, perché diverso è il nostro modo di reagire alla morte e alla perdita. Alcuni rifiutano totalmente la perdita della persona amata, rimanendo incastrati in uno spazio e tempo indefiniti.

“Questa è la stanza in cui si rimane prigionieri, come frutti sotto spirito conservati in un vaso scheggiato, questa in cui siamo, cullati e istupiditi dalla sofferenza. Si dorme più o meno, si gustano speranze tradite, latte inacidito, ci si stordisce bevendo aceto, si vaga e si domanda, si incrociano dati di analisi scadute e supposizioni sulla concatenazione di eventi che hanno condotto a un esito fin troppo noto e, in questa tiritera, si citano elementi a propria discolpa o a carico di medici e parenti, e in questo balbettio ci si perde per anni.
Il fatto curioso, ma neanche troppo, è che tutti, me compreso, siamo qui e siamo altrove.”
(citazione tratta dal testo)


Il protagonista del romanzo è incastrato tra il qui e l'altrove.
È un uomo sopraffatto dal dolore per la perdita della moglie a causa di una grave malattia.
È un uomo che ha perso se stesso e la speranza.
Rifiuta la morte della compagna e si rifugia in un altrove dove spera di ritrovarla, iniziando una ricerca dolorosa tra i corridoi e le stanze dell'ospedale. Ciò che trova saranno solamente i ricordi della malattia e di un passato felice e sereno insieme ai loro tre figli.
Ritroverà se stesso?
Accetterà la morte della moglie?
Riuscirà a elaborare il lutto?
Yari Selvetella risponderà a ogni vostra domanda, ma per farlo dovrete proseguire nella lettura, perché l'autore non vi regalerà solo il piacere di un libro intenso e profondo. No. L'autore vi condurrà all'interno del romanzo, facendovi vivere e percorrere il lungo e travagliato percorso che il protagonista compirà all'interno della sua anima, sopraffatta dal dolore.
Un percorso che diventa un viaggio nella pische dell'uomo che stanza dopo stanza, corridoio dopo corridoio, analizza con estrema attenzione l'intensità del dolore e quanto può cambiare l'individuo. Il nostro protagonista nega la morte e ripercorre ogni singola stanza, compiendo gli stessi gesti come se fossero un rito a cui aggrapparsi per ritrovare la moglie e se stesso. Ma negare la morte vuol dire prolungare la ricerca, la sofferenza e smettere di vivere appieno la propria esistenza.

Se mi muovo, se faccio un passo, se corro, ritorno a me stesso e questa condizione è dolorosa come un solo dente malato in una bocca. Sono tutto botte, tutto tumefazione, tutto nervi scoperti, tutto mialgia, sono tute le -ie, tutte nella mia mente, perché tu non ci sei.”
(citazione tratta dal testo)

Prima o poi arriva il momento di superare il lutto, spesso ce la facciamo da soli, altre volte arriva qualcuno a tirarci fuori dall'angolino in cui ci siamo rifugiati, e anche il nostro protagonista troverà colui che lo costringerà a guardare la realtà e a riappropriarsi della sua vita.

Ma ora è il momento di provare a ritornare, di essere una persona sola.
Così non è possibile. Tradisco non solo la mia vita, ma la sua, che era capace di non sprecarla, a qualsiasi costo, lei che ha insegnato soprattutto questo, a non arretrare, a non accomodare. Io devo andarmene, anzi dobbiamo tutti e due tornare al mondo.”
(citazione tratta dal testo)


Il testo è intenso, bello, doloroso. Un pugno nello stomaco che ci lascia completamente senza fiato. È uno di quei romanzi che non può essere letto una sola volta, perché la bellezza e la profondità delle parole viene fuori piano piano, lettura dopo lettura.
La scrittura è complessa, articolata ed elegante e richiede una maggior attenzione, ma una volta superate le prime pagine, si viene completamente assorbiti dalla storia e investiti dalla bellezza del romanzo.
Yari Selvetella invoglia il lettore a ragionare su ogni passaggio del testo, riflettendo attentamente su alcune tematiche e su queste stanze che celano e custodiscono ricordi, passato, sofferenza, nostalgia etc. L'autore compie, inoltre, una profonda e attenta analisi psicologica del protagonista, riuscendo a descrivere la sofferenza, l'amore, la morte e il lutto senza ricorrere a frasi fatte o stereotipi.

Che amore inutile è l'amore che non protegge, l'amore che non cura e non difende, l'amore che non può, un amore crudele sento di portarmi addosso come l'amore di dio.”
(citazione tratta dal testo)

Buona lettura!!




(Marianna Di Bella)

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