mercoledì 21 dicembre 2022

Recensione: "Robert Capa, Normandia 6 giugno 1944" - Jean-David Morvan; Dominique Bertail

 

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Titolo: Robert Capa, Normandia 6 giugno 1944

Titolo Originale: Robert Capa, Omaha, 

            6 juin 1944

Fotografie: Robert Capa

Sceneggiatura: Jean-David Morvan &

Séverine Tréfouël

Disegni: Dominique Bertail

Dossier: Bernard Lebrun

Editore: Contrasto




Buongiorno lettori,

oggi vi parlerò di un libro che ho desiderato e cercato molto e, immaginate la mia gioia nel trovarlo su un sito ad un prezzo scontato.

Potevo lasciarmi sfuggire l'occasione? Assolutamente no, infatti, eccolo qui: “Robert Capa, Normandia 6 giugno 1944” curato da Jean-David Morvan e Dominique Bertail. Un testo particolare contenente al suo interno diverse sezioni che ruotano intorno alla figura del grande fotografo di guerra Robert Capa e dello Sbarco in Normandia.

Conosciamo tutti le sue fotografie scattate sulla spiaggia di Omaha, le abbiamo viste e riviste nei libri di storia, nelle enciclopedie e in qualsiasi saggio o documentario dedicato a quel famoso e cruciale evento storico. Ciò che non sapevamo, o meglio, io non sapevo, è la storia dietro queste foto. Una storia interessante, infatti, dovete sapere che di tutte le foto scattate quel giorno dal fotografo, solamente 11 si sono salvate. Uniche testimoni visive. Le famose: Magnificent Eleven.

Perché solo undici? Cosa è accaduto? Perché sono tutte sfocate?

Presto detto, di tutte le foto scattate, un solo rullino arrivò a Londra ma, durante l'asciugatura nel laboratorio di “Time-Life”, ci fu un incidente che le rese tutte sfocate. Quella sfocatura che tutti conosciamo e che testimoniano quegli attimi atroci e dolorosi.

Robert Capa fu l'unico fotografo, tra i quattro scelti per partecipare allo sbarco, che quel giorno mise piede sulla spiaggia di Omaha. Unico fotografo a immortalare per sempre quei tragici momenti, mostrando a noi quel massacro e quei soldati che hanno dato la propria vita per liberare l'Europa dal nazismo.

Guardare quelle foto è emozionante e devastante al tempo stesso. Immagini suggestive piene di pathos, orrore e dolore. Immagini che toccano profondamente l'anima.

Non è sempre facile essere testimone e non poter far altro che registrare la sofferenza intorno a noi.”

(Robert Capa)

Robert Capa è stato un grande fotografo di guerra, presente ad ogni conflitto, come ad esempio la guerra civile in Spagna, la guerra arabo-israeliana, la prima guerra d'Indocina etc. Il suo sguardo verso la scena era originale e umano. Possedeva una grande capacità nel raccontare una storia attraverso le immagini, partecipava e riprendeva il vivo delle azioni ed era vicino ai soggetti da fotografare e, questo libro vuole regalarci e farci vivere uno di quei momenti, attraverso diversi punti di vista e spiegazioni.

Se le tue foto non sono abbastanza buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino.”

(Robert Capa)

Il testo è, come dicevo all'inizio di questo articolo, diviso in sezioni e tutte ruotano intorno alla storia di queste foto e del suo autore. Il libro inizia con una graphic novel che racconta, attraverso i tratti di Dominique Bertail, la preparazione del fotografo per quel famoso giorno, rappresentato con tavole in bianco e nero, che risaltano ed esaltano tutto l'orrore di quei momenti. Una graphic novel che ho apprezzato per le tavole e il tratto che rende tutto vero e umano.

Le sezioni continuano con una esposizione delle famose foto, rimaste solamente dieci perché:

In realtà, le Magnificent Eleven sono subito diventate 10, perché un negativo andò perduto. A 70 anni di distanza, solo 8 di queste fotografie hanno ancora un negativo originale, le altre due sono duplicati.”

(citazione tratta dal testo)

Le altre sezioni prendono in esame: un breve resoconto della vita di Robert Capa; il mistero sull'identità del soldato protagonista di una delle foto; brevi informazioni tecniche e, infine, un breve excursus dello Sbarco in Normandia.

Capisco che questo possa essere un testo particolare, che la struttura possa risultare non apprezzabile o piacevole per alcuni ma, sono del parere che questo piccolo libro sia un modo interessante e particolare per approcciarsi ed entrare meglio nella storia che si cela dietro le foto.

Per me è stato un testo interessante, piacevole nella lettura e, soprattutto, emozionante. Perché non si può rimanere indifferenti davanti a quelle foto, testimoni di quei momenti atroci e devastanti.

Guardate le foto e seguite le vostre emozioni.

Buona lettura e visione.



Marianna Di Bella

lunedì 19 dicembre 2022

Recensione: "L'inverno del mondo. The Century Trilogy Vol. II" - Ken Follett

 

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Titolo: L'inverno del mondo. 
The Century Trilogy Vol. II

Titolo Originale: Winter of the World

Autore: Ken Follett

Editore: Mondadori




Buongiorno lettori,

oggi torno a scrivervi per parlarvi del secondo volume della trilogia “The Century” di Ken Follett. Nel primo volume, “La caduta dei giganti”, avevamo lasciato i nostri protagonisti, alla fine della Prima Guerra Mondiale, nella delicata fase di ricostruzione delle proprie vite e dei propri Paesi. In questo secondo volume, invece, li ritroviamo, a distanza di qualche anno, impegnati a gestire la famiglia, crescere la nuova prole e ad affermarsi in ambito lavorativo.

Siamo nel 1933 e in Europa si respira aria di grandi cambiamenti e nuovi assesti politici. In Germania, ad esempio, il partito nazionalsocialista sta acquistando sempre più importanza, anche se ancora non riesce a ottenere la maggioranza al governo. La sua brutalità inizia, comunque a manifestarsi in maniera preponderante e le sue idee estreme si fanno sempre più chiare e definitive.

Le famiglie protagoniste sono le stesse che abbiamo imparato a conoscere nel primo volume, cambia solamente il numero dei membri familiari, aumentati grazie ai matrimoni e alle nuove nascite. Una nuova generazione che vedremo crescere e maturare.

Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia e Germania saranno le nazioni protagoniste che tireranno le fila dei grandi cambiamenti e stravolgimenti politici che segneranno lo scatenarsi del secondo conflitto mondiale. Conosciamo tutti la storia e gli eventi che l'hanno caratterizzata, quindi non starò qui a tediarvi con la trama o una spiegazione dettagliata, perché non aggiungerei nulla di nuovo o di diverso da ciò che già si conosce.

Ciò che posso dirvi è che, anche questa volta, Ken Follett ci accompagnerà in un lungo percorso storico dove assisteremo alle cause scatenanti del conflitto, allo svolgersi della guerra e alle vicissitudini esistenziali di ogni personaggio.

La ricostruzione storica è sempre accurata e attenta, la lettura è intrigante, scorrevole e il suo ritmo incalzante cattura completamente l'attenzione del lettore, dandogli la sensazione di ritrovarsi all'interno di un film d'azione. Ma, a onor del vero, devo dire che in questo secondo volume non si respira lo stesso pathos e la stessa sensazione di scoperta e novità vissuta nel libro “La caduta dei giganti”, probabilmente perché l'evento storico lo conosciamo tutti e quindi sappiamo come si evolveranno gli eventi. Prevedibile, purtroppo, è anche la struttura narrativa, perché le storie e i comportamenti dei personaggi sembrano essere sempre gli stessi: tradimenti, amori e matrimoni sbagliati, figli illegittimi, lavori in politica. Gli anni passano, le generazioni cambiano ma gli atteggiamenti sono sempre gli stessi.

I personaggi sono superficiali e stereotipati e, a mio giudizio, alcuni li ho trovati veramente antipatici, anche quando sembrano maturare e cambiare nel tempo, come ad esempio Daisy Peskov. L'ho trovata antipatica, dall'inizio alla fine della storia, come del resto il padre che non ho sopportato neanche nel libro precedente.

Nonostante questi punti presi in esame, lo considero, comunque, un testo godibile e scorrevole e, sinceramente, mi auguro che nel terzo e ultimo capitolo della trilogia cambi qualcosa, almeno nella struttura narrativa. Mi dispiacerebbe molto rimanere delusa, considerato il grande entusiasmo vissuto nel primo volume.

Dita incrociate e buona lettura.



Marianna Di Bella


venerdì 16 dicembre 2022

Recensione: "Il cobra fuma la pipa" - Marisa Piccioli

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 Titolo: Il cobra fuma la pipa

Autrice: Marisa Piccioli

Editore: Giovane Holden Edizioni




Sono tante le storie riguardanti il periodo della Seconda Guerra Mondiale, molte si conoscono, altre sono state dimenticate, perse tra i cassetti della memoria. È importante ricordare e preservare questi eventi, perché rappresentano, non solo il bagaglio storico di una nazione o di un popolo, ma anche una preziosa eredità per le generazioni future.

Ricordare per non commettere gli stessi sbagli.

Ricordare per dare nuova luce a episodi conosciuti da pochi, per dare il giusto valore a imprese compiute da donne e uomini valorosi che hanno dato la propria vita per la libertà di un Paese, di una popolazione.

Io, ad esempio, non sapevo nulla della F.E.B., Força Expedicionária Brasileira, le forze brasiliane presenti in Italia durante il secondo confitto mondiale. I soldati, guidati dal generale Joao Batista Mascarenhas, sbarcarono a Napoli nel 1944, in appoggio all'esercito statunitense, per liberare il territorio italiano dalla presenza nazifascista. Molti di loro decisero di arruolarsi non solo per liberare l'Italia, ma perché avvertivano l'esigenza di difendere la terra dei propri avi.

Queste divisioni non facevano parte dell'esercito regolare brasiliano e per questo motivo non avevano un addestramento e un equipaggiamento idonei, così, vennero aiutati dall'esercito statunitense. Tra di loro vi erano diverse difficoltà comunicative e relazionali perché i soldati brasiliani non conoscevano l'inglese, invece, grazie alla conoscenza di alcune parole in italiano, retaggio delle loro origini, riuscirono a creare un buon legame con la popolazione civile, che li accolse in maniera aperta e affabile.

Come tutte le forze militari, anche loro avevano il proprio simbolo e grido di battaglia: “il cobra fuma la pipa”. Termine legato a delle maldicenze che affermavano che era più facile vedere un cobra fumare che i brasiliani combattere in Europa; ma, a dispetto delle voci, loro erano lì e si sono fatti valere contribuendo alla liberazione di alcuni territori della Toscana, sconfiggendo i nazisti sui campi della Linea Gotica

La loro presenza, sul territorio italiano, si lega in modo particolare alla città di Pistoia, ed è proprio qui che si svolgerà il romanzo scritto da Marisa Piccioli. Un testo dedicato alla F.E.B. e all'amichevole rapporto creatosi con la popolazione civile. Un legame fatto di sostegno e amicizia.

Protagonista del romanzo è il tenente Manuel Amèrico de Almeida, giornalista nella vita e nell'esercito. Il suo compito consisteva nel redigere resoconti sugli avvenimenti vissuti e intrapresi dall'esercito brasiliano. Il suo destino di uomo e soldato, si intreccerà con le vite dei suoi commilitoni, i civili e i partigiani. Intrecci che daranno vita a delle vere e proprie amicizie che dureranno anche oltre la fine della guerra.

Nel romanzo, Manuel, si ritroverà, insieme al sergente Miguel a cercare Elisa.

Chi è Elisa? Beh posso svelarvi, senza anticipare nulla, che Elisa è la sorella di Lina, amica del nostro protagonista. Quando la ragazza scompare misteriosamente, Lina chiederà aiuto a Manuel per ritrovarla. Una ricerca difficile per l'uomo, perché si sa poco degli spostamenti della ragazza, l'unica cosa certa è che voleva raggiungere e salutare Matteo, il fidanzato, in partenza per unirsi con le forze partigiane. Ma accadrà qualcosa durante il tragitto, perché Elisa verrà catturata e portata via.

Dove? Da chi? È questo il mistero che dovranno sbrogliare Manuel e Miguel avvalendosi dell'aiuto dei partigiani e, in particolare, della popolazione civile.

Il romanzo inizia proprio con il capitolo dedicato alla cattura di Elisa, ma il lettore rimarrà subito perplesso e pieno di domande perché tutto è avvolto dal mistero e dalla poca chiarezza. Le domande, purtroppo, non avranno subito delle risposte esaustive perché il capitolo successivo cambierà totalmente registro narrativo, presentando le forze brasiliane. Qui verranno date nozioni riguardanti il motivo della loro presenza nel territorio italiano, la spiegazione del nome, del grido di battaglia e di come è nato il simbolo. Tutte informazioni interessanti ma, ad essere sincera, questo cambio narrativo, mi ha lasciata perplessa, perché non riuscivo a capire quale fosse la struttura scelta dall'autrice: romanzo, testo storico, romanzo storico etc. Ho continuato a leggere spinta più che altro dalla curiosità ma, piano piano, ogni pezzetto è andato al suo posto dandomi, così, la visione d'insieme dell'intera storia e lasciandomi piacevolmente sorpresa.

La trama è interessante, incalzante nonostante la confusione iniziale e dei dialoghi, a mio parere, ridotti all'essenziale. Avrei preferito un po' più di approfondimento, non dal punto di vista storico, ma per quanto riguarda una costruzione psicologica e caratteriale dei personaggi, dando risalto ai loro pensieri; ma questo è semplicemente il mio parere personale, mentre probabilmente l'autrice voleva dare al testo un ritmo più incalzante alle indagini e alla ricerca. Questo, però, non vuol dire che il romanzo non mi sia piaciuto, al contrario l'ho trovato gradevole e scorrevole nella lettura. Ho apprezzato, in modo particolare, la scelta da parte dell'autrice di evidenziare il rapporto che si instaura tra le forze brasiliane e i civili, e di dare risalto ad alcuni elementi come: l'amicizia, la speranza, il tradimento, lo spionaggio e la voglia di vivere e combattere per la libertà.

Marisa Piccioli ci ha regalato, anche questa volta, la possibilità di conoscere qualcosa in più sul secondo conflitto mondiale, presentandoci protagonisti diversi dai soliti eserciti inglesi, americani, tedeschi o russi. Amo studiare il periodo della Seconda Guerra Mondiale, e questo ennesimo libro mi ha aiutata ad aggiungere un ulteriore tassello alla conoscenza di questo periodo storico.

Chi ha preso Elisa? Riusciranno Manuel, Miguel e Matteo a ritrovarla? A voi la scoperta, io non dirò nulla se non...Buona lettura!!



Marianna Di Bella




(Gifted by) Ringrazio la Casa Editrice per la copia del libro

mercoledì 14 dicembre 2022

Recensione: "I Janeites. Il club di Jane Austen" - Rudyard Kipling

 

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Titolo: I Janeites. Il club di Jane Austen

Titolo Originale: The Janeites

Autore: Rudyard Kipling

Editore: Elliot




Un libro può salvarci?

Può sostenerci nei momenti di tristezza e sconforto?

Sì.

Il libro è un balsamo per le ferite della nostra anima, allevia le nostre pene e ci dona un po' di calma.

È un antidoto alla noia, alla tristezza, alla sofferenza.

È un'àncora di salvezza quando ci troviamo in balìa dei nostri dubbi e non riusciamo a comprendere gli altri e la società. Ci solleva da incertezze, paure e sofferenze.

Il libro è una mappa che ci aiuta a ritrovare la strada che abbiamo perso. Ci riconduce a noi stessi.

Devo essere sincera, negli anni, diversi libri mi hanno aiutata, ognuno in maniera diversa e in particolari momenti della mia vita, ma i romanzi di Jane Austen sono quelli con cui ritrovo un po' di calma e serenità, in particolare: “Orgoglio e Pregiudizio”. L'ho letto e riletto tantissime volte e mi sono resa conto di averlo fatto nei momenti in cui ero più triste e confusa.

Leggendo “I Janeites” di Rudyard Kipling ho scoperto che anche l'autore trovò conforto nei libri di della scrittrice in un momento estremamente doloroso della sua vita. Lo scrittore perse il figlio John durante il primo conflitto mondiale e nel 1917, in lutto e in piena guerra, iniziò a leggere ad alta voce alla moglie e alla figlia i romanzi di Jane Austen.

Rudyard Kipling, conosceva e ammirava i libri della scrittrice, ma rileggerli in quella particolare situazione ebbero un effetto diverso, perché alleviarono le sue pene e sortirono un'azione benefica sulla sua anima duramente provata. Probabilmente questo episodio, e la grande ammirazione dell'autore per i romanzi di Jane Austen, lo portarono a scrivere un racconto, un omaggio alla grande scrittrice: “I Janeites”.

Il racconto è ambientato in Inghilterra nell'autunno del 1920 a guerra finita. Due ex commilitoni si incontrano e iniziano a parlare di ciò che hanno vissuto durante il conflitto e, in particolare, di come siano riusciti a salvarsi. Tra questi racconti spicca la voce e la storia di Humberstall, saltato due volte su delle bombe e sopravvissuto a quasi tutti i suoi ex compagni. Ma per noi lettori non è solo questo che rende particolare la storia dell'uomo, bensì il fatto che egli, durante il conflitto, fece parte di un club dedicato a Jane Austen.

Una società segreta composta da pochissimi membri e con delle regole ben precise.

Be', come diceva il povero Macklin, è una società molto esclusiva, e dovevi essere un Janeite dentro di te oppure non avevi nessuna possibilità. Eppure fece di me un Janeite!”

(citazione tratta dal testo)

Humberstall era un Janeite e...non aggiungerò altro perché il libro è talmente corto che continuare a parlarvi della trama vorrebbe dire svelare tutto il testo togliendovi il gusto della scoperta.

Una cosa però posso dirla: non aspettatevi di leggere una storia romantica. Non lo è. Questo è un racconto, inserito nel contesto della guerra, che vuole essere un omaggio, una dichiarazione d'amore da parte di Kipling ai i romanzi di Jane Austen.

Un piccolo libro che ho apprezzato molto, non perché viene citata la mia scrittrice preferita, ma per la scrittura di Rudyard Kipling e la struttura del testo. Ammetto che, ad una prima lettura, sono rimasta spiazzata da una storia che mi ha dato l'idea di grande confusione e non capivo quale fosse il senso e il significato di tutto quello che stavo leggendo. Così mi sono fermata, sono tornata indietro e ho ripreso la lettura dall'inizio, ma questa volta l'ho fatto con più calma e attenzione, soffermandomi meglio su alcune parti, ed allora il messaggio è arrivato fortissimo.

Ho compreso che, probabilmente, quell'effetto caotico che avvertivo era semplicemente la confusione che vi era nella mente di Humberstall, dopotutto cosa ci si aspetta da un uomo che è saltato due volte sulle bombe? La sua mente ne ha risentito profondamente ma, sicuramente, non è stato l'unico soldato ad avere avuto ferite profonde. Ogni guerra lascia, purtroppo, non solo lesioni fisiche permanenti ma anche traumi importanti. I soldati tornano a casa con la psiche e l'anima a pezzi e riuscire a ricomporre il tutto è difficile, se non impossibile. Partono pieni di speranza, coraggio e determinazione, ma quello che vivono e vedono è talmente orrendo e indescrivibile che tornano a casa con dentro qualcosa di rotto in maniera irreparabile. Humberstall ne è un esempio, saltato su due bombe ha visto morire la maggior parte dei suoi commilitoni e per lui, leggere i romanzi di Jane Austen sono un antidoto a tutto ciò che ha vissuto.

Ora leggo tutti e sei i suoi libri con piacere mentre sto in negozio, e questo mi riporta indietro...fino all'odore della vernice delle protezioni. Credetemi, fratelli, non c'è nessuno pari a Jane quando ti trovi in una brutta situazione. Dio la benedica, chiunque sia stata.”

(citazione tratta dal testo)

Leggere aiuta a superare i tormenti dell'anima e gli orrori della guerra. Aiuta guardare oltre il passato e dare una possibilità al futuro.

La storia di Humberstall mi ha colpita, non solo per la società segreta dedicata a Jane Austen e il modo in cui vi è entrato e come l'ha vissuto, ma per la parte finale che mi ha lasciata con un senso di malinconia e tristezza.

Rudyard Kipling ha scritto il racconto omaggiando la famosa scrittrice ma, per me, ha omaggiato anche i soldati e, suo figlio, che durante quella guerra sono morti o tornati devastati nel corpo e nell'anima, ricordando, a noi lettori, che un libro può aiutare chiunque, donando sollievo e conforto, dandoci la possibilità di tornare a vedere e vivere il presente e il futuro.

I libri curano?

Sì, ne sono certa.

Buona lettura.



Marianna Di Bella

lunedì 12 dicembre 2022

Recensione: "Lettere di Charlotte Brontë 1829 -1847 vol.1" - Charlotte Brontë


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Titolo: Lettere di Charlotte Brontë 1829 - 1847 vol.1

Autrice: Charlotte Brontë 

Traduttrice: Alessandranna D'Auria

Editore: Darcy Edizioni


Leggere lettere rappresenta, per me, un modo per comprendere meglio le persone, perché scrivere aiuta a svelare il lato più profondo e sensibile di sé, quello che spesso si nasconde per paura o timidezza.

Ho sempre amato leggere e scrivere lettere. Mi ricordano l'adolescenza e quella trepidante attesa nel ricevere i messaggi delle amiche di penna sparse per l'Italia. Sedute alla scrivania a studiare, ogni tanto ci fermavamo a sognare a occhi aperti il nostro futuro e a scriverlo alle nostre amiche. Parlavamo di noi, della vita quotidiana, dei primi timidi amori che nascevano tra i banchi di scuola. Riversavamo sui quei fogli le nostre confidenze, condividendo pensieri, sogni, emozioni.

Sono passati anni da allora, eppure quella sensazione di felicità, nell'aprire una lettera e ritrovarvi le parole scritte dalle amiche, è rimasta indelebile nella mia mente.

Quando ho iniziato a leggere l'epistolario di Charlotte Brontë, ho avuto la sensazione di rivivere quell'emozione. Sfogliare le pagine è stato come aprire una lettera dopo l'altra e conoscere, non solo la famosa scrittrice ma, soprattutto, la donna.

Conoscere i grandi scrittori attraverso la lettura della biografia mi ha sempre dato l'impressione di una costruzione fissa e impersonale, per carità, importante ai fini della conoscenza letteraria ma, personalmente, cerco, ove possibile, di conoscere e comprendere la persona che si nasconde dietro il nome. E questo epistolario, il primo di tre volumi, mi ha dato la possibilità di iniziare a conoscere una donna intelligente, forte, caparbia e intensa. Uno spirito che bramava conoscenza, evasione e la possibilità di esprimere se stessa e le sue capacità.

Charlotte Brontë conosceva bene i suoi sentimenti, e non esitò a rifiutare la proposta di matrimonio di Henry Nussey, consapevole del fatto che, per una giovane donna con poche ricchezze, rifiutare una tale proposta poteva confinarla nel definizione perenne di “zitella”.

Quanto a me, non mi conoscete; non sono il serio, grave, freddo individuo che supponete, mi credereste romantica, direste che sono satirica e severa. Tuttavia, disprezzo la falsità, e mai lo sarò, pur di sposarmi e fuggire il marchio di vecchia zitella, pur di prendere un uomo degno, che sono cosciente di non poter rendere felice.”

(citazione tratta dal testo)

Onesta, con se stessa e con Henry Nussey, affermò con convinzione di non amare l'uomo e di non essere la donna adatta per stare al suo fianco e renderlo felice. Sognava, come tutte le ragazze, di sposarsi per amore pur sapendo che età e difficoltà economiche potevano rendere difficile la realizzazione del sogno, ma una buona dose di speranza e un pizzico di caparbietà l'hanno accompagnata durante il cammino della sua esistenza.

Ma l'impresa che è senza difficoltà è quasi senza merito; c'è un grande interesse nel trionfare sugli ostacoli. Non dico che riuscirò, ma ci proverò, lo sforzo, da solo, mi farà bene.”

(citazione tratta dal testo)

Ci provò. Sempre. Come quando, ad esempio, lavorando come governante presso la famiglia Sidwick comprese di non essere adatta per quel tipo di lavoro, ma le difficoltà economiche familiari, la fecero resistere per un po' di tempo. Questa esperienza negativa le chiarì le idee riguardante i suoi obiettivi futuri: aprire e gestire una scuola per ragazze.

L'avversità è una buona scuola, i Poveri sono nati per faticare, e i Dipendenti per resistere.”

(citazione tratta dal testo)

Nel 1842, grazie a un aiuto finanziario da parte della zia Elizabeth, andò a Brussels con sua sorella Emily per studiare tedesco e poi insegnare inglese. Era felice e appagata, sentiva di appartenere a quel luogo.

La mia vita attuale è felice, così adatta alla mia natura, se paragonata con quella di un'istitutrice. Il mio tempo, sempre occupato, passa così rapidamente.”

(citazione tratta dal testo)

Purtroppo l'ennesimo ostacolo era pronto dietro l'angolo per intralciare il suo cammino, infrangendo i suoi sogni contro la realtà quando, tornata a casa, si rese conto che non poteva aprire una scuola perché Haworth era troppo distante, e raggiungerlo risultava difficoltoso per le future allieve. Rinunciare a un sogno è sempre devastante, ci si sente sperduti, senza più un appiglio per andare avanti, ma Charlotte non ebbe il tempo di fermarsi a ragionarci troppo perché i problemi di salute del padre le fecero prendere una decisione drastica, rimanere accanto al genitore per prendersi cura di lui, sollevando in parte Emily da quel peso che le gravava sulle spalle. Confinò se stessa tra le mura domestiche, diventando ben presto una prigione per la sua anima di donna e scrittrice.

So che la vita passa e non sto facendo niente, talvolta è penoso raggiungere quest'amara consapevolezza, ma non vedo oltre la nebbia. Più di una favorevolissima opportunità mi è stata offerta, ma sono stata costretta a rifiutare. Forse, quando sarò libera di lasciare casa, non sarò più capace di trovare un posto o un lavoro, forse avrò anche superato metà della vita, le mie capacità saranno arrugginite, e le mie poche conoscenze in gran misura dimenticate. Queste idee mi pungono vivamente, talvolta, ma ogni volta che consulto la mia coscienza, essa afferma che sto facendo bene a restare a casa, e amari sono i suoi rimproveri, quando agogno ad un più vivido desiderio di realizzazione.”

(citazione tratta dal testo)

La donna sentiva la vita e gli anni scivolare via velocemente. Sentiva di non aver realizzato nulla di importante; non vedeva prospettive davanti a sé e sentiva di non aver fatto un buon uso della sua esistenza. Voleva ancora viaggiare, conoscere le persone e il mondo, lavorare, essere indipendente economicamente e vivere una vita attiva.

La mia giovinezza se n'è andata come un sogno, e non ne ho fatto un grande uso. Che cosa ho fatto in questi ultimi trent'anni? Poco di prezioso.”

(citazione tratta dal testo)

Ed è più o meno così che la lasciamo in questo primo volume del suo epistolario.

Leggere le sue lettere e l'evolversi della sua storia toccano profondamente l'anima e fa male sapere a cosa ha rinunciato e quali erano i suoi pensieri nei momenti di tristezza e malinconia ma, al tempo stesso, la bellezza della sua scrittura e la profondità dei suoi pensieri ci aiutano a superare tutto coinvolgendoci completamente nella lettura. Personalmente, durante la lettura, ho avvertito spesso un senso di familiarità e confidenza, mi sono sentita parte del testo, come se le lettere fossero indirizzate anche a me e non solo ai familiari o a Ellen Nussey, sua grande amica.

Amava comunicare, scrivere e ricevere corrispondenza e le lettere da leggere sono ancora tante, infatti, l'epistolario è composto da tre volumi tradotti da Alessandranna D'Auria. Grazie al suo immenso lavoro, oggi abbiamo la possibilità di leggerle in italiano e conoscere la donna oltre che la scrittrice.

Ho apprezzato la scelta, da parte dell'editore, di dedicare ad ogni lettera una sua pagina, dandole in questo modo uno spazio ben definito. Non amo leggere libri o epistolari dove le lettere si succedono una dietro l'altra come se fossero un lungo e interminabile elenco della spesa, mi danno la sensazione di poca cura e poca attenzione verso il testo, il proprio lavoro e i lettori che comprano il libro e sono costretti a leggere un'accozzaglia di lettere.

Naturalmente, non c'è nulla da commentare o giudicare dell'epistolario perché questa è la vita di Charlotte Brontë e come tale va rispettata, però possiamo riflettere su determinati argomenti come la figura della donna nell'Ottocento, il contesto storico etc. Se osserviamo attentamente ci renderemo conto che alcune sue riflessioni sono vicine a noi più di quanto pensiamo, come ad esempio alcune emozioni, l'infrangersi dei sogni, le difficoltà familiari, la voglia di vivere e conoscere il mondo.

Il primo volume si ferma al 1847 e sappiamo benissimo che è solo l'inizio del suo epistolario e quindi solo una parte della sua vita. Io, sicuramente, non mi fermerò qui con la lettura perché è tanta la voglia di conoscere meglio Charlotte Brontë, ritrovare i suoi pensieri e quel senso di familiarità che ho vissuto in questo primo volume.

Ve lo consiglio? Assolutamente sì, perché non si può amare il libro “Jane Eyre” senza conoscere e apprezzare colei che l'ha scritto.

Non si può non conoscere Charlotte Brontë.

Buona lettura




Marianna Di Bella

venerdì 9 dicembre 2022

Recensione: "Mia zia Jane Austen" - Caroline Austen; Anna Lefroy


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Titolo: Mia zia Jane Austen

Titoli Originali: My Aunt Jane Austen. A Memoir

                  Recollections of Aunt Jane

Autrici: Caroline Austen   

      Anna Lefroy

Editore: Gaalad Edizioni



Esistono libri che pur apparendo, agli occhi dei lettori, di piccole dimensioni e quasi anonimi, in realtà custodiscono al loro interno dei tesori di inestimabile valore. Poche pagine che contengono storie, lettere, ricordi e informazioni importanti riguardanti un romanzo, un autore o un'autrice particolare.

“Mia zia Jane Austen” è un libro piccolo per dimensione e numero di pagine, ma il contenuto al suo interno è immenso e importante per noi amanti della scrittura e dei romanzi della scrittrice. Un testo intimo e familiare che, grazie alle lettere e ai ricordi delle nipoti, ci dona la possibilità di conoscere il lato privato della donna, la sua vita quotidiana e il rapporto con la famiglia e gli innumerevoli nipoti.

La famiglia Austen ha sempre cercato di proteggere la privacy della donna, facendo da scudo attorno a lei perché non trapelasse nulla del suo vivere, ma dopo la sua morte si sono resi conto che la sua memoria non doveva andare persa, così, piuttosto che affidare a un biografo i documenti e le lettere dell'autrice, hanno pensato di scrivere loro stessi una biografia più veritiera e vicina al suo vero essere.

Il nipote James Edward Austen Leigh decide, così, di scrivere la biografia avvalendosi dell'aiuto e dei ricordi delle sue due sorelle Caroline Austen e Anna Lefroy. Saranno proprio loro le voci narranti di questo libro; voci che ci racconteranno del rapporto con la zia, regalandoci un ulteriore tassello per comprendere meglio la sua personalità.

Tra le due donne, Caroline Austen è quella che scrive di più e in maniera dettagliata perché ricorda meglio, nonostante abbia trascorso meno tempo in sua compagnia. Indipendentemente dalla lunghezza delle due lettere, il ritratto che viene fuori di Jane Austen è quello di una donna amata, dolce nei modi e amorevole con i nipoti. Una donna intelligente, tranquilla che amava profondamente la famiglia.

Jane Austen aveva un buon rapporto con tutti i suoi fratelli, scriveva loro numerose lettere in cui raccontava molto della vita quotidiana, come ad esempio le informazioni sull'andamento della casa, ma non trapelavano mai i suoi pensieri o riflessioni più profonde.

“Scriveva copiosamente ai suoi fratelli, quando erano per mare, e si teneva in corrispondenza con molti altri componenti della famiglia.

Non c'è nulla, nelle lettere che ho visto, che sarebbe interessante per il pubblico. Erano molto ben scritte, e dovevano risultare di grande interesse per coloro che le ricevevano, ma essenzialmente descrivevano nei dettagli avvenimenti domestici e familiari, e lei raramente azzardava persino un'opinione, così che per gli estranei non possono costituire un riflesso dei suoi pensieri; non sentirebbero affatto di conoscerla meglio leggendole.”

(citazione tratta dal testo)

Dai ricordi delle nipoti viene descritta la sua quotidianità, scandita da diversi compiti. come ad esempio: preparare la colazione, provvedere alle provviste di zucchero, tè e vino.

La mattina si dedicava alla musica e il pomeriggio passeggiava con la sorella per andare in paese o a trovare i fratelli.

Amava scrivere, in particolare le lettere, e la sua calligrafia era elegante e raffinata. Amava leggere ad alta voce e stare con i nipoti che cercavano la sua compagnia ogni volta si recavano a visitare la nonna. Giocava con loro a shangai, li aiutava dell'organizzare le recite e raccontava storie inventate usando la sua fervida immaginazione per far vivere ai nipoti avventure fantastiche.

Li spronava a leggere, dava loro consigli, anche sulla scrittura, come accadde a Caroline Austen quando le espose il suo pensiero sulle difficoltà che la nipote avrebbe incontrato:

Man mano che crescevo, mi parlava più seriamente delle mie letture e dei miei svaghi. Avevo cominciato presto a scrivere versi e storie, e mi dispiace pensare a quanto fastidio le ho dato facendoglieli leggere. Era molto gentile al riguardo, e aveva sempre qualche elogio da tributare, ma alla fine mi mise in guardia dal dedicarvi troppo tempo. Mi disse...come lo ricordo bene! che sapeva quanto fosse divertente scrivere storie, e che la riteneva un'occupazione innocua, anche se molti, ne era consapevole, la pensavano diversamente, ma che alla mia età essere troppo presa dalle composizioni sarebbe stata una cosa negativa. Più tardi, tuttavia, dopo essere andata a Winchester, mi mandò un messaggio di questo tenore: se volevo seguire i suoi consigli, avrei dovuto smettere di scrivere fino a quando non avessi compiuto sedici anni, e lei stessa aveva spesso desiderato di aver letto di più, e scritto di meno, quando aveva quell'età.”

(citazione tratta dal testo)

Ricordiamo, inoltre, che all'epoca le donne scrittrici e intellettuali non erano viste di buon occhio nella società perché, secondo la logica morale e patriarcale di quegli anni, la donna era considerata inferiore all'uomo e quindi il suo ruolo era circoscritto solo in ambito domestico. Per questo motivo, all'inizio i suoi libri vennero pubblicati in anonimato, ma la sua bravura e capacità letteraria vennero ben presto note a tutti.

Leggere questo testo è importante perché, non solo ci regala un ulteriore tassello per comprendere meglio la sua persona, ma ci permette di vivere un'esperienza delicata in cui le nipoti ci raccontano, in maniera intima e confidenziale della loro zia, parlandone sempre con delicatezza.

Un regalo prezioso per noi lettori che desideriamo conoscere quanto più possibile di Jane Austen come scrittrice e donna.

Un testo che consiglio di cuore.

Un libro da custodire.

Un libro...un ricordo.

Buona lettura.


Marianna Di Bella


lunedì 5 dicembre 2022

Recensione: "I boschi e le stagioni" - Lucy Maud Montgomery


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Titolo: I boschi e le stagioni

Autrice: Lucy Maud Montgomery

Editore: Lindau



Avete mai passeggiato per i boschi in compagnia di una famosa autrice? Vi siete mai persi lungo sentieri di alberi, accompagnati dalle sue parole? No? Peccato. Ma tranquilli, perché è ancora possibile rimediare e vivere un'esperienza unica e affascinante, passeggiando e sognando tra alberi maestosi, ruscelli gorgoglianti, fiori profumati, e per farlo dovrete semplicemente sfogliare e leggere un piccolo libro. Un gioiellino meraviglioso in grado di regalarvi momenti piacevoli scoprendo i boschi e voi stessi.

Tranquilli, non sono impazzita, il libro in questione è “I boschi e le stagioni” di Lucy Maud Montgomery, l'autrice che ha scritto “Anna dai capelli rossi”, regalandoci uno dei tanti personaggi che ha segnato la nostra infanzia.

“I boschi e le stagioni”, è formato da quattro articoli scritti nel 1909 e pubblicati tra maggio e dicembre del 1911 per la rivista «The Canadian Magazine» di Toronto. Quattro articoli che parlano non solo di alberi, ma anche del mondo circostante, della natura, del loro ciclo vitale durante lo scorrere delle quattro stagioni.

Sin dalle prime pagine, Lucy Maud Montgomery prende per mano il lettore e lo accompagna in una passeggiata affascinante e mai noiosa tra alberi, ruscelli, prati, fiori. Rimane accanto a lui per tutto il tempo della lettura e il trascorrere delle quattro stagioni, aiutandolo a entrare in contatto con un mondo apparentemente ostile e distaccato. Perché, come ci svela l'autrice, per entrare in intimità con l'ambiente e con i boschi ci vuole tempo e pazienza. Occorre una frequentazione profonda e continua per riuscire a conquistare la fiducia degli alberi, bisogna imparare a osservare le piccole trasformazioni per rendersi conto di quanto la natura si apra donando tesori inestimabili, facendo scoprire meraviglie mai viste a chi è abituato a vivere in città.

Credetemi, non serve a nulla cercare i boschi per alcun motivo che non sia il puro amore nei loro confronti; essi ci scopriranno subito e ci nasconderanno tutti i loro soavi, antichi segreti. Ma se sapranno che ci rechiamo presso di loro perché li amiamo, si mostreranno assai gentili nei nostri confronti e ci offriranno un tale tesoro di beltà e di delizia che non si compra o si vende al mercato né si può pagare in moneta di conio terreno; poiché di boschi, quando danno, danno generosamente e non trattengono nulla dai loro veri adoratori. Dobbiamo andare da essi amorevolmente, umilmente, pazientemente, in maniera accorta, e impareremo quale struggente bellezza si celi nei luoghi selvaggi e nelle segrete radure...”

(citazione tratta dal testo)

L'autrice, considera gli alberi degli amici e come tali vanno trattati, con delicatezza e amore e proprio come in un rapporto di amicizia, la conoscenza deve basarsi su un rapporto di fiducia, rispetto, attenzione e una continua frequentazione.

I boschi sono talmente umani che per conoscerli dobbiamo viverci insieme. Un occasionale aggirarsi fra essi, mantenendosi, magari, su sentieri ben battuti, non ci ammetterà mai nella loro intimità. Se vogliamo esser vicini agli amici dobbiamo cercarli e conquistarli con frequenti e riverenti visite a tutte le ore, al mattino, a mezzogiorno, e alla sera, e in tutte le stagioni, in primavera e in estate, in autunno e in inverno.”

(citazione tratta dal testo)

Le parole dell'autrice ci guideranno non solo alla scoperta della bellezza degli alberi ma anche del mondo circostante, conosceremo il ruscello vagabondo, gaio e irresponsabile che con il suo antico dolore ci farà vibrare l'anima, ascolteremo il cinguettio degli uccelli, osserveremo il cadere di tanto in tanto di una foglia: “...sull'acqua per andar via con la corrente e per esser usata, forse, come scialuppa dorata da qualche folletto del bosco, che avesse in mente di partire alla volta di qualche meravigliosa regione lontana dove tutti i ruscelli corrono nel mare.” (citazione tratta dal testo)

Contempleremo la maestosità della natura, osservando le lucciole, il cadere della pioggia che fa emergere l'aroma degli arbusti, dei fiori, della frutta matura. Vedremo passare, davanti ai nostri occhi di lettori, lo scorrere delle quattro stagioni donandoci la visione, non solo del tempo che passa, ma anche della trasformazione del luogo circostante e degli alberi. Una crescita che li vede a primavera pieni di vita spirituale mentre in estate, consapevoli di aver perso parte della loro giovinezza, sono più sensuali e pronti a far assaggiare le loro prelibatezze. In autunno, invece sono pieni di una dolce indolenza, vogliono ricordare, sognare e riposare, giungendo all'inverno completamente spogli del loro fogliame, dei loro drappeggi e della loro beltà, mostrandosi per come sono realmente e facendosi conoscere meglio.

Questa passeggiata stagionale sarà la nostra poesia, il sogno che ci guiderà nel profondo della natura e di noi stessi. Sì, proprio noi che, nascosti dietro scuse sulla vita frenetica che conduciamo, dimentichiamo il nostro io più profondo, celandolo agli altri e a noi stessi.

(...) Mi sembra di camminare in un mondo incantato di diamanti, cristalli e perle: sento una meravigliosa leggerezza di spirito e una gioia che scuote l'anima nella mera esistenza...una gioia che sembra sgorgare come una fontana dalle profondità del mio essere ed esser indipendente da tutte le cose terrene. Sono sola e ne sono felice. Qualsiasi compagnia umana, anche la più cara e perfetta, ora mi sarebbe estranea e superflua. Basto a me stessa, non ho bisogno di alcuna emozione terrena per completare la mia felicità. Tali momenti sono rari...ma quando giungono sono inesprimibilmente meravigliosi e splendidi...”

(citazione tratta dal testo)

Lucy Maud Montgomery ci ha donato, con questo testo, qualcosa di inestimabile valore, parole che hanno una grande potenza evocativa, regalandoci descrizioni paesaggistiche uniche e memorabili in grado di farci vivere sul serio quelle passeggiate, mostrandoci parte di ciò che si cela nei boschi. Ricordandoci di ascoltare tutto molto attentamente, anche il silenzio, in particolare quello dentro di noi. Un silenzio carico di significati.

Quando ho iniziato la lettura non prevedevo di innamorarmi di ogni passaggio scritto, di ogni frase poetica, di ogni descrizione naturalistica. Ho esplorato e amato ogni fiore, albero, ruscello, prato ed ognuno di loro mi ha donato serenità e delicatezza e chiudendo il testo mi sono resa conto di quanto mi mancassero quelle passeggiate. Ho deciso, così, di rileggere il testo ad ogni stagione accompagnandole a passeggiate nel bosco per comprendere meglio le descrizioni, ma anche per osservare di più e fare nuove conoscenze e scoperte.

Ora torno a leggere l'articolo sull'autunno e auguro a voi una buona lettura e, perché no, anche una buona passeggiata.



Marianna Di Bella