Titolo: Le stanze dell'addio
Autore: Yari Selvetella
Editore: Bompiani
Perdere qualcuno che si ama
è una delle esperienze più dolorose e devastanti che possano
capitare. Il dolore entra prepotentemente dentro di noi e come una
deflagrazione esplode lasciandoci senza fiato. Inebetiti. Sconvolti.
Si accomoda nella nostra
anima e rimane lì per mesi...anni...un coinquilino complicato,
scomodo, difficile da mandare via.
Piangiamo, quando ci
riusciamo, ci disperiamo e ripercorriamo, all'infinito, i momenti
felici. Riviviamo il passato illudendoci di ritrovare quella
sensazione di benessere e amore che abbiamo vissuto, alleviando
momentaneamente la nostra sofferenza.
Elaborare il lutto non è
facile, il dolore ha bisogno di tempo per scivolare via e lasciare
spazio alla speranza e alla voglia di tornare a vivere. È un
processo lungo che ognuno di noi affronta in maniera diversa, perché
diverso è il nostro modo di reagire alla morte e alla perdita.
Alcuni rifiutano totalmente la perdita della persona amata, rimanendo
incastrati in uno spazio e tempo indefiniti.
“Questa è la stanza
in cui si rimane prigionieri, come frutti sotto spirito conservati in
un vaso scheggiato, questa in cui siamo, cullati e istupiditi dalla
sofferenza. Si dorme più o meno, si gustano speranze tradite, latte
inacidito, ci si stordisce bevendo aceto, si vaga e si domanda, si
incrociano dati di analisi scadute e supposizioni sulla
concatenazione di eventi che hanno condotto a un esito fin troppo
noto e, in questa tiritera, si citano elementi a propria discolpa o a
carico di medici e parenti, e in questo balbettio ci si perde per
anni.
Il fatto curioso, ma
neanche troppo, è che tutti, me compreso, siamo qui e siamo
altrove.”
(citazione tratta dal testo)
Il protagonista del romanzo
è incastrato tra il qui e l'altrove.
È un uomo sopraffatto dal
dolore per la perdita della moglie a causa di una grave malattia.
È un uomo che ha perso se
stesso e la speranza.
Rifiuta la morte della
compagna e si rifugia in un altrove dove spera di ritrovarla,
iniziando una ricerca dolorosa tra i corridoi e le stanze
dell'ospedale. Ciò che trova saranno solamente i ricordi della
malattia e di un passato felice e sereno insieme ai loro tre figli.
Ritroverà se stesso?
Accetterà la morte della
moglie?
Riuscirà a elaborare il
lutto?
Yari Selvetella risponderà
a ogni vostra domanda, ma per farlo dovrete proseguire nella lettura,
perché l'autore non vi regalerà solo il piacere di un libro intenso
e profondo. No. L'autore vi condurrà all'interno del romanzo,
facendovi vivere e percorrere il lungo e travagliato percorso che il
protagonista compirà all'interno della sua anima, sopraffatta dal
dolore.
Un percorso che diventa un
viaggio nella pische dell'uomo che stanza dopo stanza, corridoio dopo
corridoio, analizza con estrema attenzione l'intensità del dolore e
quanto può cambiare l'individuo. Il nostro protagonista nega la
morte e ripercorre ogni singola stanza, compiendo gli stessi gesti
come se fossero un rito a cui aggrapparsi per ritrovare la moglie e
se stesso. Ma negare la morte vuol dire prolungare la ricerca, la
sofferenza e smettere di vivere appieno la propria esistenza.
“Se mi muovo, se
faccio un passo, se corro, ritorno a me stesso e questa condizione è
dolorosa come un solo dente malato in una bocca. Sono tutto botte,
tutto tumefazione, tutto nervi scoperti, tutto mialgia, sono tute le
-ie, tutte nella mia mente, perché tu non ci sei.”
(citazione tratta dal testo)
Prima o poi arriva il
momento di superare il lutto, spesso ce la facciamo da soli, altre
volte arriva qualcuno a tirarci fuori dall'angolino in cui ci siamo
rifugiati, e anche il nostro protagonista troverà colui che lo
costringerà a guardare la realtà e a riappropriarsi della sua vita.
“Ma ora è il momento
di provare a ritornare, di essere una persona sola.
Così non è possibile.
Tradisco non solo la mia vita, ma la sua, che era capace di non
sprecarla, a qualsiasi costo, lei che ha insegnato soprattutto
questo, a non arretrare, a non accomodare. Io devo andarmene, anzi
dobbiamo tutti e due tornare al mondo.”
(citazione tratta dal testo)
Il testo è intenso, bello,
doloroso. Un pugno nello stomaco che ci lascia completamente
senza fiato. È uno di quei romanzi che non può essere letto una
sola volta, perché la bellezza e la profondità delle parole viene
fuori piano piano, lettura dopo lettura.
La scrittura è complessa,
articolata ed elegante e richiede una maggior attenzione, ma una
volta superate le prime pagine, si viene completamente assorbiti
dalla storia e investiti dalla bellezza del romanzo.
Yari Selvetella invoglia il
lettore a ragionare su ogni passaggio del testo, riflettendo
attentamente su alcune tematiche e su queste stanze che celano e
custodiscono ricordi, passato, sofferenza, nostalgia etc. L'autore
compie, inoltre, una profonda e attenta analisi psicologica del
protagonista, riuscendo a descrivere la sofferenza, l'amore, la morte
e il lutto senza ricorrere a frasi fatte o stereotipi.
“Che amore inutile è
l'amore che non protegge, l'amore che non cura e non difende, l'amore
che non può, un amore crudele sento di portarmi addosso come l'amore
di dio.”
(citazione tratta dal testo)
Buona lettura!!
(Marianna Di Bella)
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