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Buongiorno lettori,
inizio questa nuova settimana con un libro intenso che mi ha fatto provare sensazioni forti e contrastanti. Dolore, rabbia, tenerezza, disgusto, terrore sono solo alcune delle emozioni vissute, perché la storia è profondamente toccante e riesce a far emozionare in alcuni passaggi, mentre in altri il sangue si gela nelle vene per la cattiveria, la freddezza e le atrocità perpetrate contro milioni di innocenti.
Un libro intenso sotto ogni punto di vista. Una voce importante che deve essere ascoltata, letta e vissuta con ogni fibra del nostro essere.
Voce narrante di questo testo è Tova Friedman, una donna di 83 anni che decide di aprire la sua anima per raccontare la sua storia. La donna affida, a noi e alle nuove generazioni, i suoi ricordi più importanti e dolorosi perché vengano tramandati e salvati dall'oblio dell'ignoranza e del negazionismo storico.
Tova Friedman è stata una delle più giovani sopravvissute al campo di sterminio nazista Auschwitz-Birkenau. Quando il lager venne liberato dai russi, nel 1945, lei aveva solamente 6 anni.
“Auschwitz è impresso nel mio DNA. Quasi tutto quel che ho fatto nella mia vita dopo la guerra, tutte le decisioni che ho preso sono state plasmate dalle mie esperienze durante l'Olocausto.”
(citazione tratta dal testo)
Tova Friedman nasce nel 1938 a Gdynia, in Polonia. La sua infanzia è segnata dalla violenza e dalle atrocità perpetrate dai nazisti. Cresce ignorando cosa sia il gioco, il divertimento, la libertà.
Nel 1941, a soli tre anni, vive nel ghetto di Tomaszów Mazowiecki insieme ai suoi genitori, condividendo un piccolo appartamento con altre famiglie, sotto la stretta sorveglianza dei nazisti. Non hanno elettricità, vivono praticamente al buio, perché le finestre devono essere oscurate, lo spazio è piccolo e le condizioni igieniche lasciano a desiderare. A soli tre anni vive prigioniera, con la costante paura di vedere sparire, da un giorno all'altro, amici e parenti.
È una bambina impavida con un innato spirito di resistenza. È ubbidiente e impara presto a seguire le regole impartite dai tedeschi e, in particolare dalla madre, che farà di tutto per salvarla, insegnandole a: non guardare mai negli occhi i soldati nazisti per non scatenare la loro rabbia e cattiveria; cercare di passare inosservata e, cosa più importante, di non piangere o mostrare alcuna emozione davanti a loro per evitare ritorsioni.
La mamma sarà un grande punto di riferimento per lei in quella situazione, la proteggerà in ogni modo, nonostante il grande dolore che ha dovuto seppellire in fondo al suo cuore. La donna ha assistito alla morte di familiari e amici, e questo ha logorato in maniera significativa la sua anima.
“Ricacciò tutte le sue lacrime e il suo tormento nelle profondità della sua anima per non farli uscire più.”
(citazione tratta dal testo)
“Ad ogni nuovo omicidio, una lapide si cementava sulla sua anima.”
(citazione tratta dal testo)
Tova Friedman cresce assistendo, anche lei, all'uccisione di migliaia di innocenti. È costretta, insieme ai suoi genitori, a rimuovere i cadaveri, a eliminare le tracce di massacri, a smistare e inscatolare i vestiti delle persone uccise. È costretta a obbedire per sopravvivere.
La morte e la violenza sono le uniche costanti nella sua infanzia. A questi si aggiungono i continui spostamenti, dal ghetto a una fabbrica di armi e poi, alla destinazione finale: il lager di Auschwitz-Birkenau. Un nome che, ancora oggi, incute terrore e ricorda solo morte.
Tova e la madre cercano di sopravvivere a tutti i costi, perché ogni giorno vissuto in più rappresenta, per loro, un atto di ribellione contro le forze naziste. Fortunatamente ci riescono, e nel 1945 il lager viene liberato dall'esercito russo, ma se pensate che il libro finisca con la liberazione, vi sbagliate di grosso, perché l'autrice, con il suo racconto personale, ci conduce oltre la prigionia. Ci permette di entrare ancora di più nella sua vita, mostrandoci le difficoltà affrontate per reintegrarsi nella vita quotidiana, dopo le esperienze traumatiche vissute nei lager e nei ghetti. Tornare a casa, nella propria città, voleva dire scontrarsi contro un muro di diffidenza, ostilità e odio. Oppure contro la propensione di molti nel non voler ascoltare le loro tragedie, fare finta di nulla per non vedere il loro dolore e, cosa ancora più grave, cercare di dimenticare e far cadere nell'oblio della memoria le atrocità subite da milioni di innocenti.
Il suo spirito di resistenza la salverà di nuovo, infatti, questa autobiografia ne è la testimonianza. La donna ha sempre vissuto con la consapevolezza di dover vivere in maniera significativa, per onorare tutte quelle persone che sono morte durante l'Olocausto; decidendo, ad un certo punto della sua esistenza, di raccontare la sua storia a tutti, perché è fondamentale ricordare le atrocità del passato e dare voce a coloro che non possono più parlare.
“Sono una sopravvissuta. E per questo ho l'obbligo del sopravvissuto: rappresentare il milione e mezzo di bambini ebrei assassinati dai nazisti...”
(citazione tratta dal testo)
Tova Friedman ci invita a leggere cercando di captare con tutti i nostri sensi la sua storia, perché solo così si può capire come e cosa ha vissuto, e credetemi, questa è una lettura in grado in far provare contemporaneamente molteplici sensazioni: dolore, rabbia, sconforto, tenerezza etc.
Le sue descrizioni sono un pugno nello stomaco, per la crudezza e la freddezza dei nazisti nel voler consapevolmente e sistematicamente sterminare un intero popolo. Ed è proprio questa sistematicità, questa determinazione e freddezza a voler togliere, in ogni modo, la vita e la dignità di milioni di esseri umani, che colpisce e toglie il fiato al lettore.
Fortunatamente, l'autrice non toglie questa dignità, al contrario, la restituisce non entrando mai nei particolari delle uccisioni o delle violenze fisiche, facendo emergere, invece, la disumanizzazione a cui sono stati sottoposti e che, personalmente, ho trovato più agghiacciante.
Leggere questa autobiografia, ha rappresentato per me un altalenarsi di emozioni, ho sofferto e mi sono arrabbiata per quasi tutto il libro e alcune descrizioni mi hanno toccata in maniera particolare, come ad esempio il racconto del viaggio in treno di Tova e sua madre, per raggiungere il lager di Birkenau. Un viaggio disumano, 36 ore in piedi, incastrate con altre centinaia di donne, senza potersi muovere o sedere, senza acqua e con un caldo soffocante. Erano affamate, disidratate, terrorizzate e umiliate. Questa è stata una delle parti che più ha segnato la mia lettura, perché ho percepito distintamente quell'umiliazione e, al tempo stesso, mi sono sentita completamente inerme davanti a tale atrocità. Non vi racconterò altri episodi perché, farlo vorrebbe dire, anticiparvi troppo togliendovi la possibilità di percepire il libro seguendo le vostre personali sensazioni.
“Si nutrivano della nostra debolezza.”
(citazione tratta dal testo)
“La bambina di Auschwitz” è un'autobiografia piena di emozioni, storie, avvenimenti. Tova Friedman si considera una narratrice, non una scrittrice, per questo motivo ha chiesto l'aiuto dell'inviato di guerra, Malcolm Brabant per la stesura del testo. Grazie a un'attenta ricostruzione storica, ai documenti e ai ricordi dell'autrice, il giornalista è riuscito a realizzare un testo scorrevole e leggibile.
“Il tatuaggio è la mia dichiarazione di testimonianza. Ero lì. Avevo visto quello che era successo.”
(citazione tratta dal testo)
È doloroso far riaffiorare i ricordi del passato, in particolare, le atrocità, le violenze subite, per questo ringrazio personalmente l'autrice per aver condiviso la sua vita, le sue sofferenze e i suoi ricordi.
«Ricorda», le disse la mamma quando lasciarono Birkenau da donne sopravvissute e libere.
«Ricorda», ripeto a me stessa e a voi.
Buona lettura
Marianna Di Bella
(Gifted by) Ringrazio la Casa Editrice per la copia del libro
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