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giovedì 23 dicembre 2021

Recensione: "Il diario perduto di Jane Austen" - Syrie James

 

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Titolo: Il diario perduto di Jane Austen
Titolo Originale: The Lost Memoirs of Jane Austen
Autrice: Syrie James
Editore: Edizioni Piemme



Cosa accadrebbe se, nascosto in un baule, dietro la parete di un cottage inglese, si ritrovasse il diario di una delle scrittrici più amate degli ultimi secoli, Jane Austen? Un diario che svelerebbe molto della sua anima, della sua vita e dei suoi romanzi? Diario che farebbe sognare tutti i lettori che hanno amato e amano i suoi libri?

Sarebbe meraviglioso ed emozionante. Un regalo che tutti vorrebbero leggere e custodire.

L'autrice Syrie James ha provato a regalarci queste emozioni, creando un romanzo in cui immagina il ritrovamento del manoscritto, in un vecchio baule da marinaio, nascosto dietro una parete del cottage Manor House dove Jane Austen ha vissuto per un po' di tempo. Per rendere credibile la storia e il ritrovamento del diario, l'autrice ha realizzato una prefazione scritta da una fantomatica dottoressa Mary I. Jesse, docente di letteratura inglese presso l'università di Oxford e presidente della Fondazione Letteraria Jane Austen. Il suo compito, all'interno del romanzo, è di confermare, dopo un attento e scrupoloso esame, la veridicità del ritrovamento, circoscrivendo il periodo in cui è stato redatto tra il 1815 e il 1817, quando Jane Austen inizia a soffrire della malattia che la condurrà alla morte.

La prefazione è importante perché serve a dare una credibilità storica al testo e ad attirare il lettore che inizia a leggere con curiosità il romanzo, aspettandosi di ritrovare al suo interno la Jane Austen che ha imparato ad amare attraverso la sua scrittura e i suoi romanzi.

Il lettore inizia la lettura con la speranza di venire a conoscenza di episodi o avvenimenti sconosciuti che lo aiutino ad avere un quadro ancora più ampio della vita della scrittrice. Purtroppo, a mio parere, Syrie James non è riuscita nell'intento, perché il romanzo si perde nella narrazione, regalandoci un quadro di Jane Austen completamente diverso, presentando una donna superficiale, che si innamora come un'adolescente alla sua prima cotta, comportandosi e pensando in maniera banale e poco intelligente.

Dove sono finiti il sarcasmo, l'intelligenza, l'arguzia, che abbiamo imparato a conoscere e che vengono fuori in maniera preponderante dai suoi romanzi? Io non li ho trovati.

L'autrice ci presenta, inoltre, il periodo di vita in cui Jane Austen si innamora perdutamente, e tutto ciò che le avviene in questo momento particolare e in tutto il romanzo, non sono altro che episodi presenti nei suoi libri, come se la sua vita avesse prodotto questi avvenimenti e Jane Austen li avesse inseriti utilizzandoli nei suoi romanzi. Va bene, può capitare, una volta, ma quando tutto questo avviene per tutto il testo, beh allora inizia ad essere fastidioso se non addirittura insopportabile, perché sembra che Jane Austen non abbia avuto un minimo di fantasia e creatività nello scrivere i suoi testi e che abbia solamente riportato gli eventi di sana pianta utilizzandoli come materiale narrativo. Ho trovato tutto questo poco consono e gradevole, un espediente per poter scrivere e dare vita a questo libro, ma ciò che mi ha dato ancora più fastidio è la necessita di dover spiegare come Jane Austen sia riuscita a parlare di amore, pur non essendo sposata e non avendolo mai conosciuto.

C'era bisogno di giustificare questa particolarità?

Perché non si può semplicemente accettare che una donna, che ha descritto in maniera meravigliosa l'amore, non lo abbia conosciuto?

Perché si deve necessariamente trovare una giustificazione plausibile alla sua capacità di descriverlo?

Se questo romanzo voleva essere un omaggio alla grande scrittrice, dal mio punto di vista, non c'è riuscito. Il libro è iniziato bene, con tutte le caratteristiche per essere interessante e coinvolgente, perché è scorrevole e leggibile ma per me si ferma qui, perché il contenuto e le descrizioni mi hanno profondamente delusa, e in alcuni punti anche infastidita, ma questo è il mio parere.

Lascio a voi la scelta se leggerlo o meno e, nel caso decidiate di leggerlo, fatemi sapere cosa ne pensate.

Buona lettura.


Marianna Di Bella

martedì 21 dicembre 2021

Recensione: "La guerra dentro" - Lilli Gruber

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Titolo: La guerra dentro. Martha Gellhorn e il dovere della verità

Autrice: Lilli Gruber
Editore: Rizzoli


Viviamo in un periodo storico in cui è importante difendere la verità e la buona informazione. Nel mondo dilagano fake news, finti scoop, notizie diverse e contrastanti, che creano sempre più confusione nel pubblico, allontanandolo dalla figura del giornalista e dal suo lavoro . Per questo si avverte, in maniera intensa e preponderante, l'esigenza di ridare luce e vigore all'informazione, riportando i fatti per ciò che sono e non per come gli altri vogliono farci credere.

Per questo motivo, Lilli Gruber ha posto al centro del suo nuovo libro, il tema della verità delle informazioni presentandoci Martha Gellhorn, una delle più importanti reporter di guerra del Novecento; narrandone non solo la sua vita ma, in particolare, il suo grande lavoro di giornalista che l'ha vista presente nei più grandi e noti scenari di guerra. Inoltre, attraverso la sua figura, evidenzia quel giornalismo che è cambiato negli anni per esigenze politiche, economiche etc. e che dovrebbe tornare ad essere.

Facciamo un passo indietro e iniziamo da quello che, ammettiamolo, è il quesito che ci siamo posti tutti: chi è Martha Gellhorn?

Devo essere sincera, prima dell'uscita di questo testo non sapevo nulla di questa giornalista. Un giorno ascoltando un'intervista di Lilli Gruber, in cui presentava il libro e accennava sommariamente alla vita della protagonista, mi sono ritrovata a voler conoscere questa grande inviata di guerra. Così, eccomi qui con il libro, che ho appena finito di leggere, e un foglio bianco su cui scrivere le mie impressioni su ciò che ho letto, scoperto e amato.

Per coloro che la conoscono, Martha Gellhorn è stata la terza moglie di Ernest Hemingway, ma se andiamo oltre e approfondiamo la conoscenza, scopriremo che c'è molto altro: una vita interessante e appassionante, perché lei è stata l'unica delle quattro mogli che ha lasciato il grande scrittore per ritrovare se stessa, la sua indipendenza e non vivere più all'ombra di un uomo ingombrante.

Martha Gellhorn non è stata “la moglie di”...lei è la più grande reporter di guerra del Novecento.

Devo vivere a modo mio, non solo a modo tuo, o non ci sarebbe nessuna me per amarti.”

(citazione tratta dal testo)

(...) per lei non ci può essere amore senza indipendenza.”

(citazione tratta dal testo)

Nata nel 1908 a St. Louis (Missouri) negli Stati Uniti, da una famiglia progressista, ha sempre cercato la sua libertà e indipendenza. Donna intelligente, impavida, bella, decisa, sincera. Una donna la cui volontà di ferro, curiosità, determinazione e lucidità l'hanno sempre portata a perseguire i suoi obiettivi e a non arrendersi mai di fronte agli ostacoli e ai comportamenti maschilisti e misogini di tutti coloro che hanno cercato di limitare il suo lavoro di reporter, relegandola nelle retrovie.

...è stata fin da giovane una pioniera dei diritti femminili e sosterrà per tutta la vita che il miglior modo per difenderli sia farsi avanti.”

(citazione tratta dal testo)

La sua etica e chiarezza morale, insieme al suo odio verso l'arroganza del potere l'hanno portata a seguire e parlare dei grandi conflitti, ponendo particolare attenzione per gli indifesi, i poveri e i dimenticati. Il suo lavoro di reporter si formerà con la Guerra Civile Spagnola, ponendo le basi e i princìpi fondamentali del suo modo di lavorare.

... portare con sé solo l'essenziale; essere veloce; essere temeraria ma non incosciente, affrontando le situazioni di rischio senza lasciare che la paura diventi panico; imparare a distinguere armi ed esplosivi anche solo dal suono che producono; saper individuare strategie e motivazioni dei vari attori in campo; selezionare le fonti. E la regola d'oro: essere sempre dove le cose accadono.”

(citazione tratta dal testo)

Nel 1943 decide di partire per l'Europa e lasciare la vita matrimoniale e agiata perché, non solo ha bisogno di ritrovare se stessa, ma perché capisce che dalla guerra che si sta combattendo dipende il futuro del mondo e lei vuole essere testimone di ciò che sta accadendo. Sarà, infatti, l'unica donna corrispondente di guerra a calpestare le spiagge dello Sbarco in Normandia. Lei che, secondo i burocrati del tempo, doveva stare confinata e al sicuro nelle retrovie, perché alle donne era severamente vietato seguire l'esercito in prima linea.

Come ci è riuscita? Non posso e non voglio dirvelo, altrimenti vi perdereste la possibilità di scoprire una figura importante e un libro bello e interessante.

Attraverso questo testo, Lilli Gruber ci permette di scoprire una reporter poco conosciuta e un campo lavorativo, come il giornalismo, che negli anni ha perso molto in termini di buona informazione. L'autrice, infatti, nel presentare la vita e il lavoro di Martha Gellhorn, evidenzia ciò che prima era il giornalismo, indicando alcune tematiche interessanti e importanti come ad esempio: il ruolo delle donne nel giornalismo; la censura e il controllo del lavoro; la manipolazione della notizia per la propria propaganda; la facile reperibilità delle notizie, attraverso i video e i social, che non possono essere verificate; il cambiamento del giornalismo, da investigativo e di qualità ad un adeguamento a ciò che vuole il pubblico: spettacolo, snaturando la sua influenza e importanza. Temi, questi, che ci lasciano molto riflettere, non solo sul passato ma, in particolare, sul presente e su ciò che viviamo quotidianamente con l'informazione.

Lilli Gruber ha scritto un libro bello, interessante e ben documentato, infatti, nelle ultime pagine troviamo un bibliografia utile a chi vuole approfondire l'argomento e conoscere gli articoli e i reportage di Martha Gellhorn.

L'autrice ci tiene a sottolineare che, questo testo, non è una biografia, ma un cammino che, passo dopo passo, ci fa entrare nella vita e nel lavoro di Martha Gellhorn, infatti, i capitoli non seguono una sequenza cronologica e non iniziano presentandoci l'infanzia della giornalista, al contrario pongono in evidenza quello che è stato il suo lavoro, dando particolare risalto all'evento dello Sbarco in Normandia, la guerra in Europa e la scoperta del campo di concentramento di Dachau, perché segneranno in maniera indelebile la sua vita personale e lavorativa.

«Dachau mi ha cambiato la vita. Da allora non sono più stata la stessa, non ho più veramente provato speranza, innocenza e gioia.»

(citazione tratta dal testo)

Altra particolarità che ho apprezzato di questo libro, è che Lilli Gruber inserisce nel testo narrativo frasi estrapolate dagli articoli e dalle lettere che Martha Gellhorn scrisse agli amici, perché per lei scrivere lettere era un modo per dare sfogo ai suoi sentimenti e per ricongiungersi alle emozioni che doveva allontanare quando lavorava sui suoi articoli per rimanere sempre fedele alla realtà dei fatti. Il buon giornalista non deve mai porre se stesso al centro della storia e della notizia che sta scrivendo, non è lui la parte attiva ma solo colui che osserva e riporta fedelmente la verità e la realtà.

Inserire frasi o estratti delle sue lettere regala a noi lettori la sensazione che la grande reporter ci stia parlando e svelando parte dei suoi pensieri e Lilli Gruber li inserisce in modo fa darci l'idea che sia un dialogo non solo tra lei e la giornalista ma anche con tutti noi lettori.

In alcuni capitoli, Lilli Gruber dà voce e spazio ad altri giornalisti contemporanei, per narrare le loro esperienze sul campo e, probabilmente, per mettere in evidenza le differenze lavorative, tra gli inviati di oggi e quelli del passato. Devo essere sincera, questi capitoli, non mi hanno convinta del tutto, ho avuto l'impressione che interrompessero quel legame empatico e narrativo che si stava creando con la storia di Martha Gellhorn; a parte questo ho molto amato il libro. È fluido, interessante, appassionante e alla fine della lettura mi sono ritrovata a volerne sapere di più, e conoscere meglio gli articoli di questa grande reporter, peccato che siano stati pubblicati e tradotti in italiano, solo uno o due libri.

Ve lo consiglio? Assolutamente sì. Regalatevi la possibilità di conoscere la più importante inviata di guerra del Novecento. Date di nuovo voce a Martha Gellhorn.

«Nessuno può impedire a una donna di vivere la sua vita»

(citazione tratta dal testo)

Buona lettura.



Marianna Di Bella



(Gifted by) Ringrazio la Casa Editrice per la copia del libro.
 

venerdì 17 dicembre 2021

Recensione: "Febbre all'alba" - Péter Gárdos

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Titolo: Febbre all'alba

Titolo Originale:Hajnali Láz

Autore: Péter Gárdos

Editore: Bompiani



Ancora oggi esistono episodi ed avvenimenti riguardanti la Seconda Guerra Mondiale poco conosciuti che, fortunatamente, emergono e riprendono vita con il tempo e gli anni. Eventi che ci aiutano ad aggiungere un ulteriore tassello alle nostre conoscenze storiche, arricchendole e rendendole più intense ed importanti.

Febbre all'alba” ci presenta, non solo una storia d'amore che vede come protagonisti i genitori dell'autore, ma anche un aspetto poco conosciuto: i campi sanitari in Svezia che ospitavano i rifugiati e gli ebrei in fuga dalla Germania, dall'Ungheria etc.

Nel luglio del 1945 giunge, in uno di questi campi, Maklós Gárdos. L'uomo si trova in gravissime condizioni, infatti, è affetto da una grave tubercolosi e i medici gli danno solamente sei mesi di vita. Ma Maklós, sfuggito a ogni tipo di persecuzione, alla guerra e al campo di concentramento di Bergen Belsen, non si arrende a questo ennesimo evento negativo della sua vita. No, lui decide che deve farcela a ogni costo, vuole vivere e non darla vinta alla morte. Ora che è finalmente libero e lontano dalla guerra e dalle persecuzioni razziali, lotterà ancora più strenuamente per riprendere in mano la sua vita e realizzare i suoi sogni. Uno di questi è sposarsi e creare quella famiglia che ha sempre desiderato.

(...) Mi sento stanco. Venticinque anni, e quanto male ho dovuto sopportare. Non ho ricordi di una bella , armoniosa vita familiare, non ho avuto la fortuna di averla. Forse per questo la desidero follemente...”

(citazione tratta dal testo)

Maklós si organizza e scrive ben 117 lettere da spedire ad altrettante ragazze, originarie della sua stessa regione, che si trovano in altri campi sanitari.

117 lettere che contengono tutte lo stesso messaggio e la stessa speranza: trovare e conoscere la sua futura moglie.

Una di queste lettere giunge nelle mani di Lili Reich, anche lei ricoverata per un problema ai reni, proveniente dall'Ungheria e di fede ebraica, che risponde all'uomo e...inizia così la storia d'amore di Lili e Maklós, i genitori dell'autore.

Péter Gárdos entra in possesso della corrispondenza dei suoi genitori solo alla morte del padre e decide, con l'appoggio della madre, di far conoscere la loro storia ma, per me, non è riuscito completamente nell'intento. L'autore, purtroppo, non sempre riesce a trasmettere per iscritto le giuste emozioni presenti nella storia, perché narra gli eventi in maniera fredda, asettica, completamente distaccata. Ad esempio, quando presenta e parla dei genitori lo fa come se stesse parlando di due estranei, Maklós viene nominato come “padre”, mentre la madre la chiama sempre e solo “Lili” e spesso, durante la lettura, ho avuto il dubbio che la ragazza non fosse la madre ma un'altra donna amata dal padre. Questo suo modo distaccato e asettico nel descrivere la storia e i genitori, non mi ha permesso di creare un legame empatico con il romanzo, ho sempre avuto l'impressione di essere messa da parte e non avere la possibilità di avvicinarmi troppo alla storia.

Péter Gárdos ha cercato, inoltre, di dare un tocco di leggerezza e ironia al libro, ma non ci è riuscito perché ho trovato la narrazione lenta, noiosa e pesante. Dal punto di vista letterario la storia è bella, così come il messaggio di amore, forza e speranza che il protagonista porta con sé. Un uomo che ha cercato con tutto se stesso di vivere, sopravvivere, realizzare il suo sogno di sposarsi e ritrovare la sua identità nonostante gli eventi traumatici e dolorosi che ha vissuto e affrontato nella sua vita e nei lager.

Una storia di rinascita e speranza che ci ricorda chi è riuscito a farcela dopo la guerra, chi è sopravvissuto ai lager e alle difficoltà che hanno incontrato per riemergere dal dolore, riappropriandosi della propria vita e identità.

Un libro che avrebbe regalato molto ai lettori in termini di emozioni, intensità ma che, purtroppo, non riesce nell'intento, lasciandoci, invece, una storia asettica, incolore e noiosa. Peccato.

Come sempre a voi la scelta se leggere o meno il libro, io posso solo augurarvi una buona lettura.



Marianna Di Bella

lunedì 13 dicembre 2021

Recensione: "Non vi lascerò orfani" - Daria Bignardi

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Titolo: Non vi lascerò orfani

Autrice: Daria Bignardi

Editore: Arnoldo Mondadori Editore



Si può raccontare e descrivere la propria famiglia senza cadere nel sentimentalismo estremo o in un resoconto troppo serio e drammatico? Come si riesce a non trasformare in macchiette i familiari citati e coinvolti nel racconto? È difficile.

Difficile riuscire a trovare le parole più adatte in grado di esprimere tutto l'amore che si prova per loro, così come è difficile descrivere episodi che per noi hanno significato molto, rischiando di risultare banali e superficiali, oppure troppo zuccherosi, per chi legge o ascolta.

È sempre difficile parlare di sé e dei propri sentimenti, figuriamoci quando coinvolgiamo nel racconto altre persone, perché esprimere ciò che si prova e si sente a volte ci blocca, per pudore, vergogna o più semplicemente per la paura di non riuscire a rendere loro il giusto merito. Ma spesso basta solo aprire il nostro cuore e lasciare che le nostre emozioni emergano e prendano voce, raccontando tutto con semplicità e onestà, perché solo così si riesce a toccare le corde dell'anima di chi legge coinvolgendole nella storia. A volte bastano poche e semplici parole, espresse con sensibilità, per dare vita a una storia intensa e profonda.

Ma l'amore è amore. È quando non c'è più che capisci quanto ti manca, anche se è faticoso da sopportare.”

(citazione tratta dal testo)

In questo libro Daria Bignardi è riuscita a presentarci la sua famiglia con semplicità e delicatezza. Ha aperto le pagine della sua vita e ci ha permesso di entrarvi per conoscere lei, i suoi genitori, i suoi familiari, il controverso e ansiogeno rapporto con la madre e la sua io bambina.

L'autrice inizia il racconto partendo da un evento doloroso, come la morte della mamma, per svelare il suo passato, la sua infanzia...la sua storia. È partita dal dolore e dalla morte per parlarci di amore e vita, perché sono sempre presenti e accompagnano ogni nostro passo, nonostante gli eventi traumatici che viviamo.

Figlia di genitori anziani, Daria Bignardi ha sempre saputo, sin da bambina, che doveva contare su se stessa per trovare la sua indipendenza e libertà. Con una sorella più grande di dieci anni, ha vissuto la sua infanzia perlopiù giocando da sola, dando vita a un legame particolare con la madre. Una donna dal temperamento impulsivo e romagnolo, ansiosa, pessimista, tendente a drammatizzare su alcuni eventi superficiali e a sorvolare su quelli più seri. Questo suo carattere ha creato un rapporto ansioso con la figlia, ad esempio doveva sempre accertarsi che stesse bene, chiamando tutti i giorni alla solita ora, anche quando l'autrice, a causa del suo lavoro di giornalista, era all'estero e in luoghi difficili da raggiungere telefonicamente. Un rapporto ansioso e a volte oppressivo che ha influenzato il carattere e la vita dell'autrice rendendola ribelle, in cerca di se stessa e della profondità delle cose, ma anch'essa pessimista e ansiosa. Ma attenzione, perché nonostante il complesso rapporto con la madre, l'autrice ne parla sempre in maniera delicata e con grande amore, perché se c'è una cosa che non manca mai in questo testo è l'amore che trapela in ogni pagina e racconto del libro.

Capisci che l'unica cosa che conta nella vita è l'amore che puoi dare a chi te lo chiede, che siano i figli, i nonni o la prima persona che incontri per strada. Che essere gentili e pazienti conviene, perché quello, che non abbiamo dato pesa più di qualunque cosa possiamo aver perso: tempo, divertimento, riposo.”

(citazione tratta dal testo)

Daria Bignardi racconta e descrive la sua famiglia sempre con delicatezza e sensibilità, rievocando un passato fatto di ricordi che sono dei piccoli tesori che accarezzano l'anima di ognuno di noi, perché la sua famiglia, o almeno le sue storie, ci riportano alla mente un po' il nostro passato fatto di pranzi familiari, riunioni tra zii e cugini, gite fuori porta con i nostri genitori, piccoli litigi quotidiani. Ricordi che a distanza di anni riemergono e accendono fiammelle di tenerezza che riscaldano i nostri cuori. I suoi ricordi diventano anche i nostri ricordi.

Il libro è delicato, gradevole, divertente e ironico, grazie allo stile e all'eleganza della scrittura dell'autrice che con garbo, ironia e amore riesce a parlare della sua famiglia presentandone pregi e difetti.

Se c'è una cosa che emerge in maniera forte e preponderante è l'amore, anche quando affronta il dolore lacerante per la perdita dei genitori. La perdita di un amore che nessuno potrà mai sostituire o eguagliare, perché nessun altro potrà amarci come loro. Un amore unico, incondizionato, puro, vero, come vere sono le pagine di questo libro che hanno saputo toccare le corde della mia anima regalandomi momenti di lettura piacevoli, dolci e delicati.

Questo è la morte, oltre alla mancanza di chi non c'è più: è la vita, con tutti i suoi ricordi.

E amore. Tutto l'amore che chi se ne va ci ha dato, buono o cattivo che sia stato.

Per quello soffriamo tanto quando ci muoiono i genitori: sappiamo bene che nessuno ci amerà mai più così.

(…)

Ti manca un pezzo e non ci puoi credere che potrai vivere senza il loro sguardo addosso. Senza la possibilità di far felice qualcuno solo perché hai telefonato, hai sorriso, ti sei ricordato, hai fatto un gesto piccolo che non ti è costato niente, solo perché sei contenta. Solo perché esisti.”

(citazione tratta dal testo)

Un libro che ho apprezzato per lo stile inconfondibile dell'autrice e per quei ricordi che ognuno di noi custodisce nei propri cuori, e che ogni tanto hanno bisogno di uscire dai nostri cassetti della memoria per prendere vita e tornare a respirare.

Un libro che vi consiglio di leggere, soprattutto se avete bisogno di ritrovare la vostra famiglia e quel rapporto di amore, e a volte anche odio, che si crea con alcune persone.

Un libro che vi permetterà di entrare nell'anima di una donna e autrice profonda e riservata come Daria Bignardi.

Buona lettura



Marianna Di Bella

lunedì 6 dicembre 2021

Recensione: "Le sorelle Donguri" - Banana Yoshimoto

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Titolo: Le sorelle Donguri

Titolo Originale: Donguri shimai

Autrice: Banana Yoshimoto

Editore: Giangiacomo Feltrinelli Editore




Ci sono libri che entrano nella nostra vita in maniera del tutto casuale e nei momenti più importanti. Arrivano in silenzio, senza destare troppo scalpore, e aspettano, buoni e tranquilli, di essere letti. Non scalpitano per essere scelti e letti per primi, ma attendono pazientemente che arrivi il loro turno per regalare emozioni e quell'abbraccio e quel conforto che cercavamo da tempo.

Sono libri che sembrano riuscire a leggere nel nostro cuore e nella nostra anima, donandoci quelle parole che aspettavamo di sentirci dire. Sono libri che entrano in maniera delicata nella nostra vita e vi rimangono per sempre, come dolci abbracci, sempre pronti a confortarci e rassicurarci.

Libri magici...speciali.

Tutto ciò l'ho provato con questo testo di Banana Yoshimoto. Adoro l'autrice, così, in un momento di sconforto mi sono affidata alle sue parole, sicura che vi avrei trovato almeno un po' di serenità e un posto sicuro e tranquillo dove estraniarmi dal mondo circostante e dalla mia vita. Quello che non mi aspettavo è che la dolcezza e quel senso di malinconia che aleggiano nel romanzo, mi avvolgessero in un caldo abbraccio, ponendomi di fronte a risposte e a un modo diverso di reagire al dolore. Quel dolore forte e lacerante che mi accompagna da un anno e mezzo a questa parte, un dolore che sto imparando a convogliare e trasformare in altro.

Mi ero chiusa in me stessa quando sentivo di non poter fare altrimenti per poi rimettermi in moto al momento opportuno.”

(citazione tratta dal testo)

“Le sorelle Donguri” è un romanzo triste, malinconico, delicato e confortevole al tempo stesso, che affronta il tema della perdita e del dolore. Temi che non vengono posti al centro del libro come protagonisti assoluti cadendo nella pesantezza e nel pietismo, al contrario, l'autrice li accompagna a quel senso di rinascita che diventa il fulcro principale del testo. Da ogni sofferenza e perdita c'è sempre da imparare, l'importante è non lasciarsi sopraffare, permettendogli di avvelenare il nostro cuore rendendoci cattivi, ma bisogna imparare a trasformarlo in maniera positiva, ad esempio aiutando gli altri, amando se stessi etc. E le sorelle Donguri hanno sofferto molto nella loro vita, perdendo entrambi i genitori in un incidente quando erano piccole. Le bambine vengono affidate ai parenti, andando a vivere con diversi zii e vivendo esperienze che le segneranno profondamente, fino a quando non verranno presi in custodia dal nonno di cui si prenderanno cura amorevolmente, e proprio questo prendersi cura dell'altro le porterà a creare un sito di posta del cuore per aiutare, con messaggi e consigli, tutte quelle persone che hanno bisogno di aiuto, regalando conforto e serenità.

Quando restiamo troppo a lungo in un posto che non è adatto a noi, ciò che custodiamo nel cuore a poco a poco si consuma finché ci ammaliamo: quella sera scoprii la forza delle persone e la fragilità.”

(citazione tratta dal testo)

Le sorelle sono Guriko e Donko, diverse ma accomunate dalla stessa voglia di aiutare l'altro. Donko è più energica e indipendente anche se scappa dall'amore. Lavora nella redazione di una rivista femminile ed è lei che si occupa di scrivere e rispondere alle mail. Guriko, invece, è più solitaria e taciturna. È lei che si occupa di controllare tutto il lavoro della posta del cuore, archivia, controlla, invia i messaggi e pensa a cosa rispondere. Guriko è la voce narrante del libro, il flusso di coscienza, la voce che ci permetterà di entrare nella storia e nella sua anima. Un'anima sofferente, che ha bisogno di chiudersi in se stessa lasciando il mondo fuori per assaporare ogni attimo, per vivere ogni stato d'animo o emozione e poi tornare a emergere. Lei sarà la nostra guida nel comprendere che la morte non deve essere vista solo in maniera negativa, un abbandono assoluto, ma come una ricrescita per la persona che rimane in vita. Ci ricorda che si può affrontare il presente solo se si ha il coraggio di affrontare il passato, perché solo così si può tornare a riemergere. Ci insegna che non si può fuggire dai problemi e dalla sofferenza, ma che bisogna imparare ad accoglierli, interiorizzarli e trasformarli in qualcosa di positivo, come ad esempio prendendosi cura degli altri come fanno le sorelle Donguri, oppure amando e perdonando se stessi.

(...) il colore della sofferenza è diverso per ognuno di noi.”

(citazione tratta dal testo)

Banana Yoshimoto ci ha regalato un altro piccolo gioiellino, un libro breve e dalla storia minimale. Un romanzo introspettivo che ci pone davanti a noi stessi, stimolando i nostri pensieri e le nostre sensazioni.

Banana Yoshimoto ha scritto un testo delicato e triste che affronta temi importanti come la morte, il dolore, la rinascita, regalando sempre speranza, e lo fa con la sua consueta leggerezza che non è superficialità, ma il suo modo particolare di creare e regalare storie profonde senza risultare pesante e angosciante.

Un libro che ho amato tantissimo e che ho percepito come un balsamo per le mie sofferenze e fragilità. Un libro che mi ha aiutata ad avere una visione diversa del dolore e che è arrivato al momento giusto e con la giusta dose di delicatezza e sensibilità.

Un testo che consiglio caldamente, chissà che non possa aiutare anche voi a trovare quel briciolo di speranza e forza che state cercando. Saluto Guriko e Donko e mi avvio alla prossima lettura e al prossimo passo della mia vita con una speranza e un abbraccio in più.

Buona lettura.



Marianna Di Bella

venerdì 20 agosto 2021

Recensione: "L'amica geniale" - Elena Ferrante

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Titolo: L'amica geniale

Autrice: Elena Ferrante

Editore: Edizioni e/o



Torino.

Nel cuore della notte, Elena viene svegliata da una telefonata per certi versi allarmante. A chiamarla è Rino, figlio di Raffaella Cerullo, amica della donna da più di 60 anni, sparita senza aver lasciato nessuna traccia dietro di sé. Elena non è meravigliata della sua sparizione, sapeva che prima o poi sarebbe accaduto, Raffaella lo ripeteva da anni. Sparire. Volatilizzarsi senza lasciare traccia o segnale che potessero ricondurla alla sua persona.

Non ha mai avuto in mente una qualche fuga, un cambio di identità, il sogno di rifarsi una vita altrove. E non ha mai pensato al suicidio (…)

Il suo proposito è stato sempre un altro: voleva volatilizzarsi; voleva disperdere ogni sua cellula; di lei non si doveva trovare più niente.”

(citazione tratta dal testo)

Perché? Cosa accade? E soprattutto, chi sono Elena e Raffaella?

Per scoprirlo occorre fare un salto indietro nel tempo e in un altro luogo. Occorre tornare negli anni '50 alla periferia di Napoli, quando la vita di rione rappresentava un piccolo mondo circoscritto, unico e definito. Dove la realtà della vita sembrava incastonata tra i suoi vicoli, palazzi, balconi e tra le anime delle persone che lo abitavano.

In questo piccolo angolo troviamo Elena e Raffaela, per tutti Lenù e Lila, due bambine di appena 6 anni, diverse fisicamente e caratterialmente. Due bambine con quasi nulla in comune ma che stringeranno un forte legame di amicizia che le vedrà crescere e affrontare, per quanto possibile, tutte le tappe della loro vita, dall'infanzia alla vita adulta.

Lila è una ragazzina forte, aggressiva, in grado di ferire con le parole, tenace, testarda, determinata. Autonoma nei pensieri e nei ragionamenti, al contrario di Lenù che vive costantemente nel voler piacere a tutti, una brava ragazza , giudiziosa, studiosa. Un rapporto di amicizia un po' sbilanciato perché vede spesso Lenù succube della forza prorompente di Lila, seguendola in tutto e per tutto , anche nelle prove di coraggio, mettendo alla prova, soprattutto, loro stesse.

Le due ragazzine vivono e sopravvivono in un quartiere dove la legge e la giustizia non esistono e tutti si comportano seguendo ciò che vedono fare agli adulti: attaccano prima di essere attaccati.

Non ho nostalgia della nostra infanzia, è piena di violenza. Ci succedeva di tutto, in casa e fuori, ogni giorno, ma non ricordo di aver mai pensato che la vita che c'era capitata fosse particolarmente brutta. La vita era così e basta, crescevamo con l'obbligo di renderla difficile agli altri prima che gli altri la rendessero difficile a noi.”

(citazione tratta dal testo)

Un rione violento comandato dalla famiglia Solara e da don Achille, fino a quando alcuni aghi della bilancia non si spostano e con essi anche gli equilibri del quartiere, in un sottile gioco di violenza e sopravvivenza attraverso cui veniamo a conoscenza della situazione culturale e sociale della vita degli anni Cinquanta e del complesso e articolato rapporto di amicizia tra Lenù e Lila che si snoderà tra le vie del rione e tra le pagine del libro regalandoci un romanzo potente, intrigante, bello da leggere.

Generalmente, in un romanzo, amo molto la costruzione psicologica dei personaggi e il contesto sociale e culturale in cui è inserito ed Elena Ferrante, in questo libro, ha fatto un ottimo lavoro, giocando su sottili equilibri che lo rendono interessante, accattivante ed estremamente coinvolgente.

Lila è il personaggio più complesso e contraddittorio di tutto il romanzo, riesce a farsi odiare e amare nell'arco di una pagina. Ha una forte tendenza all'emancipazione, alla ribellione contro il suo status di donna che purtroppo non l'aiutano ad emergere totalmente, perché la famiglia e la vita del rione la risucchiano sempre più in basso, mostrandoci alleanze, compromessi e falsi rapporti tra quelle che sono e saranno le famiglie che cercheranno di contendersi il potere.

Lenù al contrario è ancora acerba, immatura per questo lato della vita del rione. Persa nel suo mondo, vive il rapporto con Lila tra l'essere succube e il cercare di emergere con i suoi desideri e sogni, sempre in contrasto con la madre, legate da un rapporto di amore, odio e rivalsa.

Interessante, inoltre, è la figura della donna di quegli anni e del loro ruolo e stato sociale. Donne a cui non era permesso di proseguire gli studi oltre le scuole elementari, perché dovevano rimanere nel loro stato di ignoranza, pensando solo a procreare, accudire casa, marito e figli. Per la famiglia, il marito e la società non era necessario che la donna fosse intelligente, che studiasse o avesse ideali di crescita interiore e sociale. Doveva rimanere nel suo limbo di ignoranza e povertà perché al suo futuro avrebbe pensato il marito, nel caso in cui fosse sposata, o il padre e fratelli se ancora nubile.

Le due protagoniste sono, invece, le due facce della contraddizione. Lila che vuole emanciparsi ma rimane legata alla vita violenta del rione e Lenù che riesce a studiare ben oltre le aspettative familiari e del quartiere.

Donne che prendono vita grazie alle magnifiche parole di Elena Ferrante che riesce a descrivere eventi e contesti culturali in maniera incisiva, potente, riuscendo a colpire il lettore quando meno se lo aspetta. L'autrice riesce a far emergere tutta la sofferenza, la povertà e la violenza attraverso parole apparentemente semplici che si insinuano nel nostro animo, rimanendo lì a farci riflettere per poi colpire devastando la nostra anima.

Un romanzo bello, intenso che ho amato moltissimo e che mi spiace aver aspettato tanto per leggerlo e scoprirlo. Non credo ci siano altre parole che possano meglio descrivere la sua bellezza, ma se c'è ancora qualcuno che, come me, ancora non l'ha letto, beh allora non lasciatevi sfuggire l'occasione di scoprire la penna di Elena Ferrante.

Buona lettura



Marianna Di Bella

giovedì 12 agosto 2021

Recensione: "L'inverno del pesco in fiore" - Marco Milani

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Titolo: L'inverno del pesco in fiore

Autore: Marco Milani

Editore: La Corte Editore



Guardare vecchie fotografie in bianco e nero vuol dire osservare il passato di una famiglia, di una persona, di un periodo storico lontano e, per alcuni di noi, sconosciuto.

Soffermare lo sguardo su quelle foto di persone in posa, sbiadite dal tempo e dai ricordi, ci riportano alla mente parenti che non ci sono più e che con la loro presenza ci hanno regalato momenti importanti e ricordi indelebili. Osserviamo tutto molto attentamente, gesti, posizioni, espressioni, visi che piano piano, ad uno ad uno, ci hanno lasciato con un vuoto difficile da riempire.

Ogni fotografia e ogni persona rappresentano un viaggio indietro nel tempo che intraprendiamo attraverso i ricordi, con nostalgia e quel pizzico di malinconia per i tempi passati.

Anche oggi guarderemo una foto. Un gruppo familiare che avrà molto da raccontarci, non solo riguardo alle loro vite, intrecciate in maniera spesso dolorosa, ma anche di un periodo storico, sociale e politico che ha segnato la vita di molti italiani.

È la famiglia Bondoli, ricchi proprietari terrieri del Lazio, guidata dal patriarca Filiberto che dirige e comanda sui terreni e sui componenti familiari in maniera dispotica, aggressiva e violenta.

Nel 1901 arriva alla tenuta un ragazzo che afferma di aver conosciuto e combattuto al fianco del nipote prediletto di Filiberto: Ernesto. Il nipote sui cui il capofamiglia aveva riversato tutti i suoi sogni di eredità e proseguimento del nome e della fiorente attività.

Chi è lo sconosciuto? Il suo nome è Mario Bardin, orfano di entrambi i genitori e compagno d'armi di Ernesto. I due giovani si ritrovano a combattere, fianco a fianco, in Cina con la Regia Marina Italiana per sedare la rivolta dei Boxer difendendo la delegazione italiana nel territorio cinese. Tra i due ragazzi nasce subito un'amicizia fraterna, profonda e sincera tanto che Mario promette ad Ernesto che qualunque cosa gli fosse accaduta, avrebbe raccontato tutto alla madre e al resto della famiglia Bondoli. Un parentado che Mario impara a conoscere e apprezzare attraverso i ricordi di Ernesto, affezionandosi ogni giorno di più a ogni componente familiare.

Grazie al suo buon carattere, Mario entra a far parte della famiglia, lavorando duramente e guadagnandosi il rispetto di tutti ma, la morte di Ernesto frantuma la famiglia in mille pezzi che difficilmente si ricomporranno nel tempo perché ogni membro si chiude nel proprio dolore attraversandolo e vivendolo in maniera diversa, allontanandosi dagli altri e, a volte, da se stessi.

Il dolore può assumere forme mutevoli e corrodere qualunque animo, ma non sempre lo fa all'istante, quando l'evento luttuoso, la tragedia si sono appena verificati. Spesso accarezza le persone ma non le rapisce, fa loro credere che sia tutto lì, che poi passerà e le cose miglioreranno, invece resta in disparte, ad aspettare; cova come la brave sotto la cenere e può attendere a lungo, saltando fuori all'improvviso, quel tanto che basta per rovinare una vita.”

(citazione tratta dal testo)

Mario non è solo il protagonista, ma anche il filo conduttore che ci guiderà all'interno di un romanzo interessante e piacevole, facendoci vivere decenni di storia italiana fatta di cambiamenti, grandi innovazioni, manifestazioni, rivoluzioni e una guerra mondiale che devasterà in maniera definitiva la famiglia Bondoli. Una famiglia segnata da amori, sofferenze, nascite e morti che scandiranno ogni periodo storico e le vite dei personaggi che danno vita, corpo e anima a questo romanzo.

Il testo è ben documentato, infatti, esamina, affronta e riporta decenni di storia italiana, evidenziando alcuni elementi come: la politica, la società, la cultura e la nascita e lo sviluppo della cittadina di Ladispoli, luogo in cui è ambientato il romanzo.

La lettura è scorrevole e la trama coinvolgente. Personalmente alcuni episodi non li avrei riportati perché non aggiungono nulla di importante alla trama e non influenzano in maniera incisiva gli eventi o il proseguo della storia. Li ho trovati inutili, slegati alla trama e spesso inverosimili, mentre, su altri eventi, avrei preferito un maggiore approfondimento, dando più corpo e consistenza ai tratti psicologici dei personaggi, mettendo in evidenza, soprattutto, le loro emozioni, permettendoci di conoscere i loro pensieri, sentimenti e sensazioni. L'autore sembra non entrare mai in profondità nell'animo umano dei personaggi, dandomi la sensazione di tratteggiare le loro personalità in maniera, a volte, superficiale. Inoltre, non so se è una mia sensazione, ma la costruzione dei personaggi femminili l'ho trovato un po' stereotipata, risultando o avide e doppiogiochiste, ribelle e audaci o permissive e passive.

Un romanzo che nel complesso ho trovato piacevole, coinvolgente e ben documentato. Ho apprezzato molto le figure di Virginia e Mario, la loro storia d'amore e la conoscenza della nascita della cittadina di Ladispoli.

Grazie ai libri si impara sempre qualcosa in più e si entra in storie che, per certi versi, sono anche un po' nostre, ricordandoci i tempi andati e persone perse nel tempo.

Buona lettura.


Marianna Di Bella


(Gifted by)  Ringrazio la Casa Editrice per la copia del libro.

mercoledì 7 luglio 2021

Recensione: "Cambiare l'acqua ai fiori" - Valérie Perrin

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Titolo: Cambiare l'acqua ai fiori
Titolo Originale: Changer l'eau des fleurs
Autrice: Valérie Perrin
Editore: Edizioni E/O



Nel piccolo comune di Brancion-en-Chalon, situato nella regione francese della Borgogna, si trova un piccolo cimitero. Il posto è tranquillo e ben curato, e le anime dei defunti riposano in pace, tra le costanti visite dei parenti e le cure del personale che si occupa di tenere pulito e in ordine il luogo. Tra i suoi viali si aggirano molte persone, tra familiari, amici e addetti ai lavori, ma una sola persona rimane con i defunti anche quando la notte scende e il silenzio avvolge il luogo in un caldo abbraccio: la guardiana del cimitero, Violette Toussaint.

Violette è una donna gentile, sorridente, discreta. Accoglie e ascolta, con calma e pazienza, tutti coloro che bussano alla sua porta. Parenti che riversano su di lei confidenze, sospiri, rabbia, disperazione e lacrime. Lacrime che sgorgano dal cuore e da anime ferite e sofferenti che hanno salutato definitivamente i loro cari.

Non sei più dov'eri,

ma sei ovunque sono io.”

(citazione tratta dal testo)

Violette vive sola da quando il marito è scomparso. No, non è morto. Semplicemente un giorno non è tornato più a casa, lasciando tutto e tutti. Da quando l'uomo è sparito, Violette ha ripreso a respirare, a riemergere senza di lui, continuando a lavorare, prendendosi cura delle persone e delle anime dei defunti. Ma la sera ha voglia di stare sola, di dedicarsi a se stessa, così legge, ascolta la radio etc. Ritornando padrona del proprio tempo e della propria vita.

Una volta chiuso il cancello il tempo è mio, ne sono l'unica proprietaria. È un lusso essere proprietari del proprio tempo, lo ritengo uno dei più grandi lussi che l'essere umano possa concedersi.”

(citazione tratta dal testo)

Violette non è come appare, nasconde molto del suo passato. Lo nasconde e lo tutela da tutto. Lo cela tra le pieghe della sua anima, come fa con i colori dei suoi vestiti. Vestiti colorati che rappresentano pienamente il suo essere, nascosti sotto cappotti grigi e scuri.

Cosa nasconde? Cosa si cela dietro il suo passato? Dolore. Un dolore atroce e lancinante che ha devastato la sua anima, sconvolgendo completamente la sua vita. Un dolore che l'ha piegata, calpestata, annientata al punto da farla sentire svuotata e inesistente. Un dolore che, però, non l'ha finita completamente, perché la donna ha trovato la forza di riemergere, tornando a vivere e respirare.

Solo quando si vive quello che sto vivendo io si capisce che va tutto bene, che niente è grave, che l'essere umano ha una capacità inaudita di ricostruirsi e cauterizzarsi, come se avesse vari strati di pelle uno sull'altro, vite sovrapposte e altre di scorta, e che i magazzini dell'oblio sono illimitati.”

(citazione tratta dal testo)

Un giorno bussa alla sua porta un commissario di polizia di Marsiglia. L'uomo sta seguendo le ultime volontà della madre, morta da poco, e vorrebbe seppellire i suoi resti accanto alla tomba dell'avvocato Prudent. La cosa strana è che il commissario non conosce l'avvocato e non comprende quale possa essere la correlazione con sua madre. Da questo piccolo mistero, prende vita e forma questo dolce e malinconico romanzo di Valérie Perrin. Un romanzo che ha toccato, in maniera profonda, le corde della mia anima, pizzicandole, a volte, con frasi ironiche e spesso accarezzandole con una storia delicata e malinconia. Perché il romanzo cela tra le sue pagine molte storie che come fili si intrecciano legandosi tra di loro. Fili destinati a incontrarsi, in particolare, con il lettore, donandogli diverse sfumature di colore che rappresentano le diverse fasi della vita che ognuno di noi vive o ha vissuto: felicità, amore, lacrime e dolore.

Ogni personaggio nasconde una storia, a volte semplice, altre volte più complessa e intricata. Personaggi verosimili che amano e imparano ad amare seguendo se stessi.

L'intreccio della storia non è poi così scontato come potrebbe sembrare, perché il continuo passaggio tra passato e presente permette di scoprire storie e misteri che, come tessere di un mosaico, formeranno la trama del romanzo, svelando molto dei personaggi e lasciando spesso i lettori basiti.

La storia di Violette è coinvolgente e mai scontata, perché la morte, il dolore e la perdita non lo sono mai e segnano in maniera indelebile le persone. Ogni personaggio, inserito nel romanzo, reagirà alla morte e al dolore in maniera diversa, alcuni si lasceranno sopraffare dalla sofferenza, dal rimorso, facendosi schiacciare e annientare completamente, perdendo di vista ogni cosa. Molti altri, invece, affronteranno il dolore vivendolo pienamente, lasciandosi avvolgere ma mai annientare definitivamente, come Violette che, piano piano, riesce a riemergere, ritrovando la forza di vivere dopo la perdita della figlia.

Crescerai in un altro modo nell'amore che avrò sempre per te. Crescerai altrove, nei mormorii del mondo, nel Mediterraneo, nell'orto di Sasha, nel volo di un uccello, con l'alba e col tramonto, in una ragazza che incontrerò per caso, nel fogliame di un albero, nella preghiera di una donna, nelle lacrime di un uomo, nella luce di una candela. Rinascerai un giorno sotto forma di fiore o di maschietto con un'altra mamma, sarai ovunque i miei occhi si poseranno. Dove sarà il mio cuore, il tuo continuerà a battere.”

(citazione tratta dal testo)

Una forza che emerge prepotentemente dal libro e influenza il lettore, perché la caratteristica di questo romanzo è la voglia di vivere. Si respira vita dall'inizio alla fine.

Assaporo la vita, la bevo a piccoli sorsi, come un tè al gelsomino con un po' di miele.”

(citazione tratta dal testo)

Il romanzo è delicato, sensibile, ironico in alcuni punti e riesce a toccare diverse tematiche, come il dolore, la perdita, l'amore in ogni sua sfumatura, i segreti, la scoperta della verità, la rinascita. Tematiche che l'autrice ha inserito e affrontato in maniera delicata, regalando quella punta di malinconia che ben si adatta alla trama e all'atmosfera del romanzo.

Ho amato molto la figura di Violette, una donna che ha saputo trasformare la sua sofferenza in forza vitale. Ricordandomi che occorre andare avanti, nonostante tutto, anche quando la vita ci piega e ci lascia a terra tramortiti, senza più alcuna forza e voglia di rialzarsi. Una storia che mi ha emozionata e mi ha ricordato parte delle mie sofferenze ma, soprattutto, la forza di tornare a vivere, sorridere, amare, vestendo la propria anima di tutti i colori, anche quelli più scuri, perché siamo anche luce e ombra, chiaro e scuro, gioia e sofferenza, fragilità e forza, in una continua dualità che segna la nostra esistenza e il romanzo stesso.

Vi consiglio di leggerlo e di andare oltre le apparenze e i cappotti grigi e scuri di Violette e di cercare il colore...il colore della vita.

Buona lettura!



Marianna Di Bella

giovedì 17 giugno 2021

Recensione: "Per strada è la felicità" - Ritanna Armeni

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Titolo: Per strada è la felicità

Autrice: Ritanna Armeni

Editore: Ponte alle Grazie




Roma, 1968


C'è grande fermento tra i viali dell'Università La Sapienza di Roma. Centinaia di ragazzi, si sono raccolti ai piedi della scalinata della facoltà di Lettere, ascoltano con interesse e attenzione le parole di altri compagni che espongono il loro malcontento e la loro sfiducia nel sistema universitario. Un sistema obsoleto fatto di docenti superbi che guardano gli studenti e le loro idee con disprezzo, tasse esageratamente alte che segnano sempre di più il divario tra studenti ricchi e poveri, aule piccole etc. I ragazzi chiedono, per questo, dei cambiamenti profondi e un sistema universitario che tenga conto dei loro bisogni e delle loro idee ma, soprattutto, che non vengano più calpestati e ignorati i loro diritti. Sono disposti a tutto pur di raggiungere i loro obiettivi, anche a manifestare e occupare le aule universitarie se necessario. Dopotutto siamo negli anni di pieno fermento politico, sociale e culturale. Anni che segneranno un grande cambiamento per le generazioni future, ma ciò che quei ragazzi non sanno è che le loro idee e le loro gesta entreranno a far parte della storia, rivoluzionando e cambiando la società e la sua mentalità chiusa e obsoleta.

(...) Dicevano che niente funzionava, tutto era ingiusto. Che era ora di ribellarsi contro chi teneva gli studenti imprigionati nelle maglie della cultura borghese, dell'autoritarismo, delle divisioni di classe.”

(citazione tratta dal testo)

Ma torniamo a quel gruppo di studenti raccolti alla facoltà di Lettere, perché osservando con attenzione ci accorgeremo che tra di loro si aggira una ragazza che osserva tutto e tutti con meraviglia, stupore e curiosità. Lei è Rosa, una studentessa di provincia che conosce poco la realtà dei movimenti studenteschi, della lotta politica e sociale, infatti, guarda tutto come delle esagerazioni, non comprendendo appieno l'importanza e il senso della protesta.

Rosa si è trasferita da poco a Roma, una studentessa fuori sede che viene dalla provincia, da un ambiente in cui ogni persona ha il proprio ruolo stabilito, in particolare le donne che vivono la loro esistenza all'ombra di mariti, padri e fratelli. Donne che accettano il loro destino senza mai ribellarsi, lavorando e lasciando da parte i propri sogni e le proprie idee.

(...) Donne che non chiedevano mai nulla, accettavano quel che veniva e vivevano in una triste passività anche quando erano laboriose e svelte. Donne incapaci di esprimere desideri, di inseguire sogni.”

(citazione tratta dal testo)

Rosa ha sempre sognato qualcosa di diverso per la sua vita, per questo motivo lascia il proprio paese per studiare a Roma e quella prima manifestazione segnerà l'inizio del suo cambiamento, perché la curiosità la spingerà a partecipare, seguendo quei ragazzi così sicuri di sé e delle proprie idee. Parteciperà alle assemblee e inizierà a studiare per poter comprendere meglio la società che la circonda, ma sarà la scoperta della la figura di Rosa Luxemburg a segnare profondamente il suo pensiero e la sua vita. Nella donna riconoscerà molti tratti in comune e inizierà a studiare non solo le sue idee politiche e sociali ma, in particolare, la persona e il suo essere donna in un ambiente politico composto prevalentemente da uomini.

(...) a oltre cinquant'anni di distanza c'era un filo che legava le giovani donne che avevano scoperto il femminismo alla grande rivoluzionaria polacca: un indomito desiderio di cambiamento, la rivoluzione come ricerca della felicità, l'amore per l'umanità così come è e non come dovrebbe essere.”

(citazione tratta dal testo)

La nostra protagonista parteciperà alle assemblee, alle manifestazioni, andrà a vivere insieme ad altri compagni in una comune ma, soprattutto, prenderà in mano la propria vita, rivoluzionando se stessa e acquisendo sempre più consapevolezza di sé, delle sue idee e dei suoi sogni. Ma come sempre, ogni cambiamento porta sempre con sé una cicatrice, perché quando si cambia, inevitabilmente qualcosa si rompe, lasciando una ferita profonda che influenzerà la nostra vita.

(...) E lì, strato sotto strato, scoprì alcune piccole ferite, alcune insignificanti contrazioni dell'animo che avvertiva da qualche tempo. Fitte appena percettibili, tristezze di cui non vedeva l'origine, ansie improvvise. Sarebbero passate, pensò...”

(citazione tratta dal testo)


(...) Non era vero che che l'assenza di dolore coincidesse con la felicità, come aveva detto un filosofo. Il dolore era stato sostituito dal vuoto, e anche nel vuoto c'era tormento e sofferenza. Allora meglio rimanere rannicchiata nello stato in cui la realtà era avvolta nell'ovatta, la coscienza si rifiutava di tornare vigile.”

(citazione tratta dal testo)

Rosa e le sue compagne prenderanno atto, con il tempo, delle grandi differenze del loro ruolo all'interno del gruppo e delle assemblee, sempre relegate a ruoli minori e mai poste in primo piano. Una consapevolezza che le porterà ad alzare la testa e ribellarsi a questa disparità reclamando parità, indipendenza, rispetto dai propri compagni e dalla società, partecipando ai primi movimenti femministi.

Rosa scoprirà se stessa, le sue debolezze e la sua forza, lottando per il rispetto di sé e per la propria felicità. Una felicità che imparerà a cogliere in ogni piccolo gesto, vivendo appieno ogni attimo della sua vita.

(...) Ebbe voglia di ballare e di abbracciare, di nuove esperienze, di gettarsi nel gorgo, senza timidezze e paure. Assaporando tutto. Godendo di tutto. La felicità era per strada. Doveva solo accoglierla.”

(citazione tratta dal testo)

Rosa intraprenderà un difficile percorso di consapevolezza che vivremo grazie alle parole di Ritanna Armeni che, ancora una volta, riesce a prendere il lettore e a trascinarlo nel suo romanzo ma, soprattutto, nella Storia. Il suo stile narrativo è sempre coinvolgente e interessante perché riesce a mescolare e ad affrontare con semplicità e profondità, tematiche diverse, serie ed importanti, come ad esempio: i movimenti di lotta studentesca, gli scioperi degli operai, i movimenti femministi, l'aborto, la sopraffazione dell'uomo sulla donna, la figura di Rosa Luxemburg. Tematiche, queste, che affrontate in un romanzo potrebbero risultare estremamente ostiche, annoiando il lettore, invece, grazie alla sue descrizioni, alla fluidità del testo, alla capacità narrativa e alla costruzione approfondita dei personaggi, riesce ad ammaliare e coinvolgere nella lettura dalla prima all'ultima pagina.

Personalmente mi sono sentita parte del romanzo, respirando non solo l'aria di cambiamenti di quegli anni, ma anche l'entusiasmo degli studenti, la loro voglia di rivoluzionare la società, manifestando il proprio dissenso. Ho percepito ogni sentimento che Rosa ha vissuto nel romanzo, comprendendo le sue ansie, i suoi dubbi e i suoi controsensi, vivendo appieno le parole dell'autrice che mi hanno catapultata in un periodo storico che ho conosciuto solo attraverso i libri e i racconti di chi in quegli anni ha realmente lottato e manifestato per i propri e altrui diritti.

Ritanna Armeni ci ha regalato la possibilità di osservare quel periodo storico attraverso gli occhi e i pensieri di una ragazza semplice nella quale è possibile immedesimarsi, perché Rosa rappresenta ognuno di noi. Certo i contesti culturali, politici e sociali sono diversi, ma chi non ha mai lottato, amato, riso, pianto e sofferto nella propria vita? Tutti....indistintamente.

Vi invito a leggere e scoprire il libro, lasciandovi trascinare dalle parole dell'autrice, perdendovi tra manifestazioni e occupazioni, ricordandovi che la felicità va accolta e vissuta appieno.

Buona lettura.


Marianna Di Bella



(Gifted by) Ringrazio la Casa Editrice per la copia del libro